Cronaca locale

Beccalossi: «Mi chiamo Evaristo e godevo a battere la Juve da solo»

«Non ho rimpianti, nemmeno di non avere giocato il mondiale 1982»

Volete far arrabbiare Beccalossi? Chiamatelo vecchia gloria e vi tira dietro il primo oggetto che ha tra le mani, sacramentando in bresciano. A 52 anni è rimasto praticamente quello di quando giocava: sempre pronto a fare bisboccia, ma di una permalosità esagerata. Perché lui è il Becca, mica uno qualunque. Uno che ha giocato a calcio, e che calcio. Roba per intenditori, gli altri si accomodino pure altrove «perché non parlo di pallone con chi non ne capisce niente». Non c'è puntata di QSVS che non me lo ripeta. «Mi chiamo Evaristo» recita, in maniera stentorea, pure il titolo della sua prima biografia autorizzata, scritta da Luca Pagliari e da poco in libreria. Un titolo che è praticamente un biglietto da visita. Maneggiare con cura, pòta. Ma se lo sai prendere è comunque la vecchia gloria (ancora vivente) più spassosa del pianeta.
Certo però Becca che ce n'hai messo di tempo per buttar giù le tue memorie.
«Uè calmino, gobbaccio maledetto. Le memorie le scriverà qualcun altro. Questo libro è nato per caso, una sera che ero a Senigallia e riuscii finalmente a incontrare uno dei mie mìti d'infanzia: Omar Sivori. Mi presento e lui mi dice: "Dì, mi pigli mica per il culo? Guarda che so chi sei". Per me è stato come ricevere una gratificazione postuma. Poi ha iniziato a raccontarmi degli episodi della sua storia. Ascoltandolo ho pensato che sarebbe stato bello mettere giù pure i miei di ricordi, e così col mio amico Luca è nato questo libro. Che vuol essere un mio regalo al popolo nerazzurro che ancora oggi mi ama e che mi ha sempre perdonato tutto. Compresi i due rigori consecutivi sbagliati contro lo Slovan Brastislava, sui quali Paolo Rossi ha costruito un indimenticabile sketch. Ormai sono diventato uno di loro, è la mia grande famiglia».
Se il tuo idolo, da ragazzino, era Sivori, com'è che sei diventato interista?
«Quand'ero bambino ammiravo i grandi e tra questi c'era ovviamente Omar. Già il fatto di vedergli portare i calzettoni arrotolati mi faceva sballare. A quei tempi non tifavo per una squadra in particolare, mi identificavo nei migliori calciatori dell'epoca e cercavo di carpire da ciascuno il meglio e di Omar avevo in cameretta il poster».
Possibile che questo non ti abbia indotto automaticamente a diventare juventino?
«Purtroppo devo deluderti, ma fin dall'inizio la squadra che ammiravo di più era quella di Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri, Picchi... continuo?».
Scusa ma la Juve di Sivori, Charles e Boniperti stravinceva.
«Lascia perdere, quell'Inter lì vinceva pure lei tanto. Eppoi, se riesco a ricordarmi a memoria ancora adesso la formazione significa che qualcosa dentro me lo ha lasciato. L'aver poi potuto indossare anch'io quella maglia ha sublimato definitivamente il mio amore verso questo club. Ricordo ancora di essere andato a dormire con la maglietta nerazzurra il giorno del mio debutto, avvenuto in Versilia, durante un torneo estivo, contro l'Hertha Berlino. Feci pure gol. Indimenticabile. Avevo 22 anni».
In famiglia tutti interisti?
«No, mio papà Gino era juventino sfegatato. Il giorno in cui segnai a Zoff e mi disse: "Proprio tu dovevi segnare alla mia Juve?"».
Infatti, sei un traditore. Il poster di Omar, papà bianconero, e tu te ne vieni fuori interista. E per giunta pure anti-juventino.
«Non è vero, nei confronti della Juve ho sempre e soltanto provato pura rivalità sportiva. Era la squadra che vinceva più di tutte le altre e quindi c'era più soddisfazione a batterla. Non scorderò mai un 4-0 a San Siro».
Immagino la gioia di tuo padre...
«Ti devo dare un altro dispiacere: dal momento in cui passai all'Inter divenne interista pure lui».
Ti rendi conto di quanti danni hai compiuto nei confronti dell'umanità?
«No, solo nei confronti di quella juventina. Le soddisfazioni più grandi me le prendevo sul campo contro gente dal grande carisma, che si faceva sentire».
Tipo?
«Furino. Sono state dette tante cose sul suo eccessivo agonismo, e invece lo ricordo come un giocatore correttissimo. L'unica cosa che di lui mi dava fastidio era il suo continuo parlare. Non la smetteva mai, durante una partita diceva di tutto, però mai che mi abbia fatto un intervento troppo duro, che mi abbia fatto male. Mi piaceva tantissimo».
E gli altri, ti piacevano tanto quanto lui? Non credo...
«Bè, di bei duelli ne ricordo tanti pure con Tardelli, Gentile, Cabrini. Era bello sfidare campioni di quel calibro. A casa mia, a Brescia, ho tenuto da parte una bella foto che ho fatto incorniciare: ci sono io, palla al piede, con attorno 4 juventini. Sai cosa gli dicevo? Dai, provate a venirmela a prendere».
Il solito ganassa. Avrei voluto tanto vedere il clic successivo... Ascolta fenomeno, tu che sei stato uno dei pochi interisti ad aver vinto uno scudetto "vero" sul campo, saresti mai sceso in campo con sulla maglietta un tricolore vinto a tavolino?
«Io l'avrei preso ma non lo avrei messo. Calciopoli ha dimostrato che qualcosa, nel calcio, è capitato e che i più pirla fossimo noi dell'Inter. Verso una società che ha investito più di mille miliardi ci sarebbe voluto un minimo di rispetto in più»
Vi siete rifatti con gli interessi: all'odiata Juve siete riusciti a far togliere 2 scudetti, a farvene dare uno, a mandarla in B e a portarle via i migliori giocatori.
«I giocatori non ce li hanno regalati, li abbiamo pagati. Quanto alla retrocessione, non mi ha fatto godere perché l'ho ritenuta ingiusta. È stato fatto pagare tutto solo alla Juve, quando invece c'erano di mezzo pure altre squadre. A quel punto, o pagavano tutti oppure sarebbe stato più giusto penalizzare anche lei».
Però con Moggi non sei così clemente?
«Non ce l'ho nemmeno con lui. Gli contesto solo il fatto di aver fatto cose di cui la Juve non aveva bisogno visto che era fortissima».
Magari sei più incazzato con Bearzot, per averti privato di un titolo mondiale non convocandoti nell'82.
«Dalla vita ho ottenuto così tante cose belle che a quel mondiale non ci penso nemmeno più».
Ma un rimpianto, anche piccolo piccolo?
«Probabilmente il non aver potuto avere Massimo Moratti come presidente, un giocatore con le mie caratteristiche a lui sarebbe piaciuto moltissimo. Detto ciò, resterò sempre grato a Fraizzoli per avermi scelto e portato all'Inter».
Hai mai pensato di dedicarti totalmente all'Inter, dirigente o allenatore?
«Certe cose ti devono venire spontanee e in tutta la mia vita non ho mai pensato di fare l'allenatore o il dirigente. Mi fa piacere poter fare qualcosa di positivo per l'Inter e di essere stimato, però le responsabilità preferisco lasciarle agli altri. Da questa società ho già ottenuto tanto, benefici di cui godo ancora oggi».
Non sarai mai un dirigente o un allenatore dell'Inter, però in tv la difendi con ardore.
«Mi fanno imbestialire quelli che parlano senza sapere davvero come stanno le cose. Il ruolo di opinionista va fatto in un certo modo e, soprattutto, con più rispetto dei ruoli altrui».
Riesci ad arrabbiarti persino quando qualcuno dice che Mourinho è stato preso per vincere tutto.
«Per forza, perché se dovesse non vincere qualcosa gli diranno che è un pirla. E non è così. Quest'uomo arriva da un altro Paese, non conosce la squadra, non conosce la città. Deve ambientarsi. So già che lo aspetteranno al varco e per questo sono preoccupato».
Fai bene, perché il prossimo anno non sarà più una passeggiata nemmeno in campionato. Quest’anno avete vinto all'ultima giornata, dopo un vantaggio di 11 punti sulla Roma.
«Se fossimo rimasti quelli dell'andata avremmo vinto in scioltezza. Purtroppo ci sono capitati troppi infortuni e non avevamo cambi sufficienti. È stato schierato un ragazzino di 17 anni. Stai tranquillo, un anno così non si ripeterà più».
Credo anch'io: dal prossimo anno non vincete più.
«Ti sbagli, faremo come il Lione: 9 scudetti di fila».
Guarda che il Lione finora ne ha vinti sei...
«Lo so, ma siccome nella tua conta personale dobbiamo vincerne tre per aggiudicarcene uno, allora spero di vincerne 9.

Tanto sono poi quelli che rimangono sull'Albo d'oro, e ti frego».

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