Un bel cartellone con qualche stecca

Si annuncia la stagione nuova della Scala e so che molti intenditori consultano diagrammi e bilancino. Io covo sentimenti primitivi, e come prima reazione conto gli spettacoli a cui mi piacerà esserci. Questa volta, e per oggi parlo solo dell'opera, non sono meno di sette. Dunque, in fondo, per me è una buona stagione.
Stagione anche curiosa: dopo tante sparate sui grandi direttori che mancavano in passato, non ci sono neanche adesso: a parte Abbado e Muti, non c'è Temirkanov, non Salonen, non Gergiev, Mehta, Rattle, per esempio. C'è Maazel, ma per dirigere una sua opera, datagli un po' come un Leone d'Oro alla carriera (mah); c'è Barenboim, due volte, una per lo stuzzicante Tristano e Isotta dell'inaugurazione, che ha l'apprezzabile Storey e la grande Waltraud Meyer protagonisti, e la regìa di Chéreau con le scene di Peduzzi, promettentissime, l'altra per Il giocatore di Prokofiev, opere qui dai precedenti molto impegnativi.
Ci sono anche i nostri Chailly e Gatti, naturalmente, e mi sfugge un po' la ragione degli abbinamenti, perché il meditativo Gatti se la vedrà con l'ostico Wozzeck e la cordialità di Chailly alla testa di una compagnia ragguardevole di tradizione, tra cui Pons, Frittoli, Nucci, se la vedrà con quanto ha o avrà in testa Ronconi, regista, nel Trittico di Puccini, che non lascerà passare liscio.
Quello che manca, come spesso, è il senso del progetto comune, meditato, discusso, fra gli artisti. Ma sono scelte spesso bene le compagnie di canto, talora anche negli avvicendamenti; per esempio, nella Maria Stuarda, affidata con qualche azzardo al direttore Fogliani e senza troppa fantasia alla messinscena di Pizzi, è interessante che con Mariella Devia e Anna Caterina Antonacci ci siano Irina Lungu e Maria Pia Piscitelli. Ed è un gesto da vecchi tempi, ma con un suo senso, portare Placido Domingo in una delle ultime opere che può affrontare, purtroppo il Cyrano de Bergerac di Alfano, nella produzione di Londra e di New York.
Non è un cartellone nitido nel rigore e straripante di idee; però ha dei punti lodevoli, ad esempio il ventaglio di capolavori del Novecento, senza impacci ideologici e senza dogmatismi sul linguaggio: oltre che Wozzeck ed Il giocatore, abbiamo Il prigioniero di Dallapiccola e Il castello di Barbablù di Bartók, con la regìa del grande Peter Stein, e finalmente addirittura La vedova allegra, di cui è chiamato saggiamente Pizzi a fare da raffinato garante e divertito padrino. Per il resto, c'è un Nucci che si sente di interpretare ancora Macbeth e un Marcelo Alvarez che rischia un Andrea Chènier, tornano Harding e Dudamel, figurarsi, e giustamente Dantone e Antonini dirigono le opere di Mozart con i ragazzi dell'eccellente Accademia di canto.

Prima della stagione ufficiale, fra settembre ed ottobre, la nuova opera di Fabio Vacchi, Teneke ha nomi d'eccezione alla regìa, Ermanno Olmi, e per le scene e i costumi, Arnaldo Pomodoro, e son previste sette recite, tante quante l'opera d'inaugurazione. Prendiamola come una piccola scommessa e come un buon presagio.

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