Alberto Cantù
da Ravenna
In Francia il Faust di Charles Gounod non è unopera, ma «lopera», anzi «un monumento allopera». Che, nata nel 1851, nel 1934 festeggiava, allOpéra di Parigi, la rappresentazione numero duemila.
Anche da noi il lavoro ebbe grande fortuna tra la seconda metà del XIX secolo e la prima di quello dopo. Fu un Faust allitaliana - lingua, carattere - come Carmen, con grandi mattatori ad impersonare Mefistofele e abbondanti tagli alla partitura. Un Faust che piacque come «opera ballo» per la grande scena di valzer del secondo atto e laltra del Sabba classico. Che colpì per quel misto di pompa e intimismo, di frivolezza e gravità da cui i francesi erano rimasti soggiogati. Anche per un duetto damore di straordinaria calibratura espressiva, per un lirismo nuovo, ora tenero ora accalorato che la bellezza dei colori orchestrali e le armonie suadenti sottolineavano.
Con questo titolo di Gounod - una svolta fondamentale nellopera francese - «Ravenna Festival» ha inaugurato sabato, al Teatro Alighieri, la sua stagione in bilico tra tradizione e scelte innovative. La tradizione la vediamo in tagli e taglietti duso (purtroppo anche lo struggente Lamento di Margherita allarcolaio) e limpiego di un coro volontereso, anche se spesso in ambasce. Lapertura innovativa sta nella regia del coreografo Micha van Hoecke che col suo formidabile Ensemble di ballerini prova a replicare gli eccellenti risultati dellestate scorsa in un Macbeth coprodotto da Ravenna col Comunale di Bologna.
Così il deserto, uno dei temi del Festival di questanno, è anche il deserto di solitudine, disperazione e annientamento cui Faust approda e infine torna e dove il regista ambienta lopera. Il deserto come illusione che Mefistofele propizia calandosi in scena come un deus ex machina. Il deserto come morte e redenzione.
Nel secondo atto lEnsemble di van Hoecke dà una carica dionisiaca rosseggiante alla festa e alla voluttà del valzer che sincarna in corpi femminili. Nel terzo sono forti le suggestioni (scene di Leonardo Scarpa) dun Faust di sabbia e dacqua - bene armonizzano cromaticamente i costumi di Marella Ferrera - e anche la casa di Margherita rispecchia le «architetture in terra cruda: città intere costruite con mattoni di fango essiccato al sole, mura possenti e fragili quanto un castello di sabbia» cui si è ispirato lo scenografo. Al posto del Sabba, di Cleopatra o Elena di Troia, troviamo la parodia novecentesca - è un varietà ora sensuale ora giocoso - del balletto che divertiva il pubblico dOttocento. Il direttore Patrick Fourniller, nel dedicare la serata al compianto Giulini - «un essere di luce» -, restituisce lopera con esemplare nitidezza e flessibilità, aiutato dallOrchestra giovanile Cherubini al debutto in campo operistico. Il neocomplesso, fondato da Riccardo Muti che lo ha tenuto a battesimo due settimane orsono a Piacenza, fa della pulizia, dellespressione, del suono bello e accurato una questione di principio, anzi di fede. Giacomo Patti, Faust, dovrà imparare a modulare una voce tenorile che oscilla tra lo sfogo incontrollato ed esili intenzioni liriche. Alexia Voulgaridou è una Margherita notevole sul triplice versante del canto affettuoso, della coloratura (lAria dei gioielli) e dellaccento drammatico (in chiesa).
Petri Lindroos, gran mattatore quanto è debole scenicamente il Faust di Patti, ha una voce di basso da opera russa: poco congeniale, dunque, alle seduttive eleganze da opéra-comique della parte. Una rivelazione, ovvero un baritono nato e un artista prorompente, è Mario Cassi (Valentin). Accuratissima, dun bel fervore lirico, risulta Paola Gardina nel personaggio entravesti di Siebel. Discreti Gabriele Spina e Katarina Nikolie.
Alla fine, applausi misti a dissensi (per la regia, per il tenore) con la Cherubini al proscenio assieme agli altri artefici dello spettacolo a presentarsi in carne ed ossa e godersi il meritato successo.
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