Belafonte e Bacharach, ottantenni d’assalto

Il cantante giamaicano: «Mi vedrete nel film su Bob Kennedy». Burt: «Ormai penso alla famiglia»

da Ischia

Stanno per tagliare il traguardo degli ottant'anni, Harry Belafonte e Burt Bucharach. Il cantante giamaicano di Mathilda e Banana Boat song, li compirà il 1º marzo prossimo. Il compositore di Arthur's theme, il 12 maggio del 2008. Ma i due grandi vecchi, ospiti dell'Ischia film festival e accomunati dalla denuncia nei confronti dello strapotere delle case discografiche americane, hanno un approccio completamente diverso con il tempo che passa. Belafonte sembra un guerriero pronto a scotennare l'ennesimo nemico, compresi i dipendenti dello scalo aereo che gli hanno smarrito i bagagli, ha una pelle liscia come l'olio e la prestanza di un giovanotto». Bacharach sembra invece più piegato su se stesso, pare il papà bianco di Belafonte e gli occhi gli si illuminano soprattutto quando parla dei suoi figli. Dice: «Ne ho uno di venti e altri due di dodici e nove anni. Voglio insegnare loro la vita e voglio vederli crescere sani e forti. E desidero più di ogni altra cosa che mi accompagnino dappertutto, anche qui ad Ischia. Questo non vuol dire che abbia abbandonato la musica. Ma cerco di ridurre la mia presenza in tour. Ormai viaggio ad una trentina di concerti l'anno e preferisco piuttosto veder correre i cavalli sulla spiaggia». Belafonte invece lavora tutto il giorno. Tra poco uscirà Buddy, il film diretto da Emilio Estevez, con Anthony Hopkins e Sharon Stone, ambientato nell'hotel Ambassador di Los Angeles dove alloggiava Robert Kennedy prima di esser ucciso: «Interpreto un ingegnere edile che lavora lì. E il film fotografa le vita di alcuni personaggi quando ci fu l'attentato al candidato presidente degli Stati Uniti». Belafonte, impegnato da sempre contro la discriminazione razziale, ha conosciuto da vicino Bob Kennedy. «E questo film - spiega - l'ho interpretato con il cuore». Per gli 80 anni stanno realizzando un film documentario sulla sua vita. Una vita che assomiglia ad una leggenda: quella di un attore che ha studiato recitazione grazie ad una borsa di studio del governo federale e quando i fondi gli sono stati tagliati ha rischiato di tornarsene a casa: «Devo tutto alla mia voce - racconta per la prima volta -. Finita la lezione all'epoca mi infilavo in un locale per ascoltare musica. Uno degli impresari del club ha detto: ti do un'opportunità, stasera sali sul palco e canti.

Quel giorno al mio fianco suonarono persone come Charlie Parker e Miles Davies. Il meglio del meglio del jazz dell'epoca. E cosi non sono più tornato a lavorare nelle piantagioni di cotone nelle quali sacrificavano l'esistenza i miei genitori».

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