Belgio, Re Alberto non si arrende: ennesimo incarico per un governo

Un asettico comunicato del palazzo reale di Bruxelles informa che sua maestà Alberto II «ha ricevuto in udienza al castello di Laeken Elio Di Rupo e lo ha incaricato di formare un governo chiedendogli di prendere ogni iniziativa utile a questo scopo. Di Rupo ha accettato questa missione». La politica è spesso ipocrita, ma certe volte sa superarsi. Chi direbbe che dietro queste frasi di routine si nasconde l’ennesimo, disperato tentativo delle istituzioni belghe di superare una impasse che sta rendendo ridicolo il Paese agli occhi del mondo, oltre che certificando la sua incapacità di mantenere la sua stessa coesione?
Eppure è così. Il Belgio ha battuto qualche settimana fa un imbarazzante record mondiale: quello di durata della sede vacante di un governo in tempo di pace, in precedenza nelle mani del poco invidiabile Irak. Il succitato signor Di Rupo, cinquantanovenne di evidenti origini italiane, è un politico di lunga esperienza, leader del partito socialista che il 13 giugno dello scorso anno ha vinto le elezioni politiche grazie al successo raccolto nella Vallonia di lingua francese e nella capitale Bruxelles. Questo però non gli è bastato a mettere insieme una maggioranza di governo, perché nelle Fiandre - la regione del Belgio in cui si parla il fiammingo, che è una varietà dell’olandese - ha prevalso un partito fieramente indipendentista, il cui leader Bart de Wever non ha alcuna intenzione di collaborare.
Di Rupo ha già trascorso l’intera estate del 2010 nel vano tentativo di assolvere alla missione di «preformazione del governo» affidatagli dal re. Ma in settembre, preso atto delle distanze incolmabili tra il suo partito che si sforza di mantenere l’unità nazionale e quello di de Wever che vuole massimizzare le già amplissime autonomie locali, aveva gettato la spugna. Re Alberto, fedele al suo compito di tenere assieme un Paese che nella vita di tutti i giorni se ne va allegramente in due direzioni opposte, ha da allora nominato una serie di «mediatori», senza però più azzardarsi a incaricare nessuno formalmente di formare un governo.
Questo fino a ieri, quando all’infelice Di Rupo è ricapitata nelle mani la patata bollente, o diremmo meglio fritta, visto che tra le poche cose per cui il Belgio va famoso nel mondo c’è l’invenzione delle squisite frites. Nel frattempo però il Paese non poteva restare senza una guida, ragion per cui il premier uscente Yves Leterme, sconfitto alle elezioni undici mesi fa, continua a mandare avanti la cosiddetta gestione corrente. Come si è detto, mai al mondo una situazione provvisoria è diventata più stabile di questa. A Leterme è toccato fungere da premier durante il semestre belga di presidenza dell’Ue e prendere la delicata decisione di far partecipare i caccia del suo Paese alla missione Nato in Libia. Nessuno si è accorto della differenza. Tanto che in Belgio ci hanno fatto l’abitudine.


Alcuni pensano ormai che sia il Belgio stesso a essere un Paese provvisorio, lacerato com’è tra due comunità che mal si sopportano e avviato come sembra a una separazione indolore. Re Alberto però ci crede ancora: non solo perché è suo dovere, ma perché il giorno in cui il Belgio si dissolvesse dovrà trovarsi un’altra occupazione.

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