La bellezza è anche in una "Vecchia". Ma prima del lifting

Che tristezza vedere il capolavoro di Giorgione appiattito dal restauro

La bellezza è anche in una "Vecchia". Ma prima del lifting

Antonello, nella sua mirabile ritrattistica, non affrontò soggetti femminili. Un pittore per soli maschi, persone vive, non solo di potere. Leonardo, al contrario, preferiva le donne, anch'esse vive e parlanti (persino troppo: Ginevra de' Benci, la dama dell'ermellino, la Gioconda). In ogni caso la bellezza femminile si accompagna alla giovinezza. La bellezza della donna, che si moltiplicherà nel Cinquecento, in Raffaello, in Tiziano, in Bronzino, appare discesa di cielo in terra, «a miracol mostrare», così come la vede con occhi incantati Giovanni Bellini, ormai avanti negli anni, nella Giovane donna nuda allo specchio. Un vecchio davanti a una ragazza è certamente emozionato, e lo sentiamo anche noi. Fino a quel momento non c'è spazio per i vecchi, e tantomeno per le vecchie, nella pittura.

Sarà un giovane sensibile e inquieto, con la mente carica di pensieri, un vero nouveau philosophe, allievo del grande Bellini, ad affrontare la questione per primo. È Giorgione da Castelfranco, personalità sfuggente e misteriosa, certamente curioso e convinto di dipingere concetti, idee reali, prima che storie. Così, all'improvviso, dipinge una vecchia, una vecchia e basta. E rovescia il teorema: non c'è soltanto la bellezza ideale, la giovinezza. Essa può trasformarsi «col tempo». È quello che leggiamo nel cartiglio che la donna tiene in mano. Il concetto è chiaro, il destino è ineluttabile: così si diventa col tempo. Un dipinto filosofico, che ha per soggetto il tempo, così come in una riflessione di Sant'Agostino o dei poeti petrarcheschi, sulla scorta di versi come: «La vita fugge, et non s'arresta una hora,/ et la morte vien dietro a gran giornate,/ et le cose presenti et le passate/ mi dànno guerra, et le future anchora» (Petrarca, Canzoniere, 272. E Pierre de Ronsard scriverà alla sua amata: «Le temps s'en va, le temps s'en va, ma Dame/ Las! le temps, non, mais nous nous en allons,/ Et tôt serons étendus sous la lame,/ Et des amours desquelles nous parlons,/ Quand serons morts, n'en sera plus nouvelle./ Pour c'aimez-moi cependant qu'êtes belle».

La Vecchia di Giorgione il suo tempo l'ha già perduto. E la giovinezza, come la bellezza, non ritorna. Nessuno lo aveva detto in pittura con la semplicità e l'eloquenza di Giorgione. Il dipinto ha una storia parallela a quella del suo più celebre equivalente letterario: Il ritratto di Dorian Gray. Giorgione, che muore giovanissimo, a trent'anni, e che ha amato con tutti i suoi sensi, felice («muor giovane colui che al cielo è caro», ci rammentava, in premessa, Menandro). L'allegoria non prevale sopra la verità e la forza della vita. Infatti, in un inventario del 1569, il ritratto, di evidente realismo, è detto «della madre del Zorzon, de man de Zorzon». L'opera viene dalla collezione Manfrin di Venezia, ma è già segnalata presso Gabriele Vendramin, con la celebre Tempesta, nel 1528. Nel 1856 entra all'Accademia di Venezia e, alla fine dell'Ottocento, entra anche nella storia dell'arte, con una fotografia di Carlo Naya. Poco dopo, nei primi del Novecento, abbiamo una fotografia dell'agenzia Anderson, sicuramente utile per Berenson, per Barbantini, per Longhi.

Il primo restauro moderno si deve a Mauro Pellicioli, nel 1948; ancora nel 1984 Ottorino Nonfarmale interviene con molta prudenza, e la Vecchia rimane tale. Oggi una grottesca lavatura le ha tolto il tempo e la vita. Nessun dubbio che la pulitura sia corretta, ma appare del tutto inopportuna. In ogni punto, come è accaduto al povero Ritratto Trivulzio di Antonello, irrimediabilmente impallidito, anche la Vecchia ha perso macchie e rughe nel volto e sulle mani, come se fosse stata sottoposta a un lifting.

Quello che salta immediatamente agli occhi è l'aspetto sordo e inespressivo della vecchia (attuale) che ha perduto, ahimè, quell'ultima scintilla di vivacità che tenacemente trasmetteva nonostante l'infinita stanchezza dell'età. L'incarnato estremamente sofferto, tanto da far trasparire la preparazione, ma così complesso e rugoso nell'opera, prima dell'ultima pulitura, diventa levigato e stupido nello stato attuale. Potrebbe suggerirsi per una pubblicità del botox. Il tempo chiede rispetto, quello che ebbero Pellicioli e Nonfarmale, ma che evidentemente non si ha più. Quella prudenza che non vi fu per la Vecchia, ringiovanita nel bamboleggiante rosa del suo abito risarcito e il bianco da bucato dello scialle, va raccomandata al direttore dell'Accademia per il restauro del terzo capolavoro veneziano di Giorgione, La nuda, dal Fondaco dei Tedeschi, affresco staccato a massello. All'opposto della Vecchia, una giovane prosperosa, di carne morbidissima, attraversata da un cretto che non la ferisce, ma la rende più viva.

Attesa alla mostra del Pordenone, quest'autunno, esuberante di vita, non vorremmo ritrovarla troppo lavata, profumata, senza gli afrori della sua splendente nudità, tanto da sembrare una pittura piuttosto che una persona

viva. Così come apparve a Vasari, che la vide, con altre figure «vivacissime... tratte al segno delle cose vive, e non a imitazione nessuna della maniera». Con quel tepore delle morbide carni che solo Giorgione conosceva.

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