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Tachicardia: i sintomi, cosa fare e quando è pericolosa

Spesso è una condizione normale, legata ad esempio a uno sforzo fisico o a uno stato di agitazione. In alcuni casi però può essere la spia di una situazione a rischio

Tachicardia: i sintomi, cosa fare e quando è pericolosa
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Sentire il cuore in gola al primo appuntamento o durante un colloquio di lavoro è un fenomeno normale. Il corpo si attiva per avere più energia e sangue e accelera il battito cardiaco. Sebbene la tachicardia sia spesso innocua, ci sono casi in cui può essere la spia di una situazione sottostante, anche grave. Non riconoscere questi casi può avere delle conseguenze serie. Per esempio, la tachicardia può indicare la presenza di aritmie, condizioni severe che espongono a un grave rischio.

Cos’è la tachicardia

La tachicardia è una frequenza del battito cardiaco superiore a 100 battiti al minuto. In un adulto normalmente si assesta tra i 60 e i 100 battiti. Si tratta di una condizione normale in molti casi, ad esempio legata a uno sforzo fisico, o a un pasto abbondante. Subentra anche in uno stato di agitazione, quando di prova ansia o paura, in quanto condizionato dalle emozioni. In questi casi, il cuore batte veloce ma con intervalli regolari.

In generale, la frequenza cardiaca può aumentare per tanti fattori, tra cui la nicotina, l'alcol, la caffeina in eccesso e gli stati febbrili. In quest’ultimo caso, infatti, le pulsazioni aumentano di circa 8 bpm per ogni grado di temperatura superiore ai 37°C, e anche il metabolismo accelera. La tachicardia può dipendere anche da condizioni patologiche esistenti, tra cui: ipertiroidismo, cardiopatie, alcuni farmaci o abuso di stupefacenti.

​Distinguere le aritmie

La tachicardia, nota anche come cardiopalmo si distingue dall’extrasistole, il cosiddetto “tuffo al cuore”. In quest’ultimo caso si percepisce un battito mancante. Nel caso della tachicardia, i battiti sono ritmici e regolari e in genere preoccupa solo quando ha un esordio e fine improvvisa.

Se invece il battito è sempre diverso e caotico, potrebbe trattarsi di un’aritmia, che si verifica per un’anomalia degli impulsi elettrici del cuore. I sintomi sono: respiro corto, sensazione di svenimento e palpitazioni. Le aritmie, se non trattate, possono peggiorare condizioni patologiche gravi, come insufficienza cardiaca, ictus, infarto e arresto cardiaco. La fibrillazione atriale è tra le aritmie più comuni, più frequente dopo i 60 anni e in presenza di patologie cardiovascolari e polmonari.

Più severa è invece la tachicardia ventricolare, che porta il cuore a battere molto velocemente e può causare anche morte improvvisa. Questo tipo di aritmia è associata alle cardiopatie e, in particolare, può svilupparsi durante o anche molto dopo un infarto del miocardio.

Un’aritmia viene diagnosticata dallo specialista cardiologo con un elettrocardiogramma. Talvolta è parossistica, cioè compare in alcuni momenti della giornata. In questi casi viene prescritto un Holter 24h ECG, un elettrocardiogramma portatile che registra ogni battito e che il paziente indossa per le 24h. Se l’aritmia è di tipo ipercinetico, cioè con battito veloce, potrebbe essere prescritta una terapia farmacologica o elettrica, ad esempio impiantando un defibrillatore. In caso di bradicardie, invece, può essere necessario un pacemaker.

A cosa stare attenti

Certe forme di tachicardia non richiedono alcun trattamento, in altri casi è importante intervenire il prima possibile. Le palpitazioni non vanno sottovalutare se c’è il dubbio di una possibile cardiopatia. Uno dei fattori di rischio è la presenza in famiglia di casi di svenimento o di morte per motivi cardiologici.

Oggi non esistono ancora terapie preventive contro le aritmie. In generale, chi ha familiarità con patologie cardiovascolari dovrebbe fare riferimento allo specialista cardiologo che prescriverà degli esami di controllo cadenzati. Lo stesso vale in presenza di una cardiopatia nota come un precedente infarto, una cardiomiopatia, una malattia valvolare.

In generale, riduce il rischio di aritmie uno stile di vita equilibrato. Ad esempio, una delle abitudini associate al rischio cardiovascolare è un’alimentazione ricca di grassi saturi, ma anche il fumo di sigaretta e la vita sedentaria.

Il rischio si riduce, invece, con una dieta equilibrata, ricca di legumi e vegetali e un’attività sportiva, anche blanda ma regolare.

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