Mentre il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e i pm del suo pool preparano la richiesta di rinvio a giudizio immediato (cioè saltando il vaglio delludienza preliminare e portando tutti in aulaprima della prossima estate) per le centinaia di arrestati dellinchiesta «Infinito» sulla ndrangheta in Lombardia, scatta una ondata di sequestri di beni immobili riconducibili agli stessi indagati. Si tratta di beni quasi mai intestati direttamente agli uomini dei clan, ma ai loro familiari, amici e prestanome. Complessivamente sono state passate al setaccio le situazioni patrimoniali di oltre millecinquecento persone.
Il consuntivo, reso noto ieri da Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, è consistente anche se non eclatante: sono stati sequestrati immobili per 15 milioni di euro, in buona parte delle provincie lombarde, ma anche in Calabria. Sono i «beni al sole» delle cosche, quelli - secondo la Procura - in cui le cosche hanno investito in questi anni molti proventi delle loro attività criminali. Ma si tratta indubbiamente solo di una parte del tesoro dei clan, perché fuori dalloperazione di ieri restano gli interessi economici meno palpabili della ndrangheta, ovvero le partecipazioni societarie nelleconomia pulita, che costituiscono il principale veicolo di penetrazione delle «famiglie» calabresi. Ma il fatto che ieri non se ne sia parlato non significa che su questo fronte gli investigatori non si stiano dando da fare.
Complessivamente i sigilli scattano per sei aree edificabili, 39 abitazioni, 37 box, 14 negozi o magazzini, messi sotto sequestro - si legge nellordinanza del giudice Andrea Ghinetti - per sventare «concreta possibilità» che i beni possano essere «trasferiti in modo fraudolento». Come ha spiegato il generale Umberto Sirico, comandante dello Scico, il servizio anticrimine della Gdf.
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