Armonica, giri di note orecchiabili quanto seducenti. Chitarre rock e ritmi che riecheggiano gli anni Settanta. Ma soprattutto parole. Parole pesanti come pietre. Parole che non fanno sconti. E il suo ultimo bersaglio è nientemeno che il Belpaese. Edoardo Bennato farà pure canzonette ma quando ferma l'attenzione sull'unità d'Italia non fa sconti, picchia duro. «Il paese - spiega il cantautore partenopeo presentando il suo nuovo disco "Le vie del rock sono infinite", distribuito dalla Universal Music - è ingovernabile e l'unità d'Italia e il patriottismo sono parole create a uso e consumo dei sacri valori e dei libri di scuola». Sposa le idee di Metternich («La parola Italia è un'espressione geografica») e pensa che il brigantaggio, sorto all'indomani di Teano, nascesse dall'esigenza di difendere le popolazioni del sud dai nuovi tiranni, dai Savoia. «Ancora oggi - commenta Bennato - esistono nel nostro sud delle entità, come la camorra, che pensano di difendere la popolazione dallo Stato tiranno. C'è un cancro che mina la nazione e molta gente individua in polizia, carabinieri e guardia di finanza gli strumenti del tiranno».
È un Bennato senza freni, occhiali scuri e maglietta anni Settanta, che ironizza sulle prossime celebrazioni per l'unità d'Italia, che vede questo paese preda del caos e ingovernabile. E «chi vuole governarlo - continua - rischia di farsi male, come è accaduto da Mussolini a Craxi». Tanto da ritenere sbagliata qualunque visione patriottica di un'Italia alle prese con una nuova lotta tra guelfi e ghibellini. Argomentazioni che trovano in qualche modo spazio nelle sue canzoni. In «C'era un re» indica «chi è fedele alla Padania e chi a Napolitano. Ma che bella rimpatriata, ma che bella fregatura, c'è chi brucia le bandiere e chi incendia spazzatura». Dedica «Il capo dei briganti» a Fabrizio De Andrè e recita: «Sono il vero napolitano e quell'altro è un rinnegato». È un Bennato che rivendica il diritto a non schierarsi («il rock si sottrae alle connotazioni politiche e in Italia si riscatta con contenuti e testi provocatori»). Dà spazio a un siparietto con tanto di gustosa imitazione di Napolitano alle prese con il discorso di fine anno. Improvvisa musica battendo il tempo su uno sgabellino. Dice di ammirare Zucchero, De Gregori, Jovanotti e Samuele Bersani. Cerca di conquistare il mercato americano presentando prima a Manhattan (il 25 marzo) e poi a Toronto il suo «Peter Pan», naturalmente in inglese. L'album, che interrompe un silenzio discografico che durava ormai da cinque anni, rimarca le distanze da tutti quelli che lo avrebbero voluto incasellare in una definizione, in uno schieramento.
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