Il giorno in cui Umberto Pizzi entrerà in un museo darte contemporanea, probabilmente ci accorgeremo di aver avuto un Martin Parr «de noantri» e di non essercene accorti. Se il fotografo inglese è conosciuto soprattutto per il ciclo Common People, in cui ha messo alla berlina le cattive abitudini del popolo anonimo, collegandone i peggiori comportamenti, le volgarità e il kitsch, al rito dellalimentazione, il neo-paparazzo romano è il fustigatore dei potenti, dalla finanza allo spettacolo, dalla cultura alla politica, lunico a sputtanare lintero arco costituzionale, da sinistra a destra, poiché almeno nel cafonismo non cè spartiacque ideologico che conta.
Dietro limmenso portfolio di Pizzi cè la regia di Roberto DAgostino. Linventore di «Dagospia», il solo magazine on line che si è inventato una nuova forma di comunicazione e di linguaggio, raddoppia il successo editoriale di Cafonal, uscito nel 2008, con il secondo capitolo, Ultra Cafonal, sempre per Mondadori in libreria da oggi. Antologia per immagini di un tempo dominato dallansia del privato, in cui del personaggio famoso interessa la caduta di stile, la scivolata, la goffaggine, dove si esaltano difetti e storture del famoso messo a nudo. Il potere viene così rovesciato, ribaltato, reso innocuo, in mutande.
Eloquente lo scatto di copertina. Umberto Bossi seduto in auto alza il dito medio, lo stesso gesto della scultura-scandalo di Maurizio Cattelan a Piazza Affari: arte e politica vanno a braccetto, non hanno molto da dire ma lo dicono senza mezzi termini. Non solo nel linguaggio questi due universi si somigliano, perché lestetica dello snapshot, tutto il contrario della foto posata e aggiustata, è dilagata dalle gallerie invadendo le feste e le cene in onore di tizio o caio. I post-inaugurazione nei templi del contemporaneo sono occasioni imperdibili per cogliere una scollatura eccessiva, una conversazione a bocca spalancata, un abbiocco a panza piena, uno struscio di baci salottieri, una mutanda uscita dal registro, un culo adiposo, una cellulite drammaticamente esposta.
Scrive DAgostino: «Il sesso è il miglior strumento di comunicazione sociale». Lex-teorico delleffimero si è così trasformato in una sorta di moralista oltre la morale, profondo fustigatore di unItalia senza eroi (se stesso incluso, beninteso), invasa dalle starlette del piccolo schermo, imitatrice dei talk show e delle fiction, in cui si confondono vero e falso. Lo fa con intelligenza impietosa, spiegandoci che nessuno è immune e che in fondo la colpa è nostra. Questo è quello che vogliamo, eccocelo servito, vestito (male) a festa.
Fa più ridere, allora, la coppia progressista vestita alla tirolese per un weekend in auto depoca o la ragazzina procace sudata e scosciata in discoteca? La braghetta verde padania di Calderoli o quella kaki di Montezemolo a Cortina mentre sabbuffa di cornetti con linseparabile Herald Tribune? Posto che il lifting è trasversale, e che alla lunga gli effetti appaiono comunque devastanti, è più improbabile linaugurazione chez Pinault a Palazzo Grassi o la saga della birra in stile Oktoberfest?
I sagaci commenti di Dago, in forma di didascalia, corrono accanto ai capolavori fotografici di Pizzi. Un volume indispensabile per capire i nostri tempi, da adottare a scuola come il libro di storia degli anni Zero.
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