Roma - Nuova serrata dei gestori dei distributori di carburanti, che proclamano 15 giorni di sciopero. I gestori intendono protestare contro alcuni emendamenti presentati al ddl sulle liberalizzazioni. I sindacati comunicheranno nei prossimi giorni il calendario della serrata. Il disegno di legge, attualmente al Senato, contiene anche le norme sulla liberalizzazione della rete di distribuzione carburanti.
Calendario ancora da decidere Fegica-Cisl e Figisc-Confcommercio annunciano in un comunicato congiunto "la proclamazione di 15 giorni di sciopero, il cui calendario, a cominciare dal mese di settembre, sarà definito nei prossimi giorni, unitamente ad una serie di nuove iniziative". Inoltre rendono noto che "sempre nei prossimi giorni comunicheranno alle Autorità competenti ed alle prefetture l’intenzione di non rispondere a qualsiasi forma di precettazione". "Il Governo - si legge nella nota delle due sigle dei gestori - servendosi dei gruppi di maggioranza, ha presentato al Senato emendamenti al ddl Bersani che azzerano qualsiasi regolamentazione sugli orari di esercizio e, soprattutto, abrogano le norme che finora avevano costretto i petrolieri ad accettare una forma di contrattazione capace di contenere il loro strapotere nei confronti dei gestori".
Secondo i gestori "si tratta di una misura offerta ai petrolieri per consentire loro di liberamente colpire, precarizzare e schiacciare qualsiasi resistenza di una categoria già contrattualmente più debole: un vero e proprio mandato a liquidare l’unico ostacolo, l’unica opposizione sociale ad un progetto che trova tutti i poteri forti coesi e fortissimamente interessati".
"Effetti demagogici, altro che propaganda" DemagogiaLe organizzazioni di categoria ritengono che sia in atto "un nuovo attacco ad una intera categoria di lavoratori - i gestori - che hanno il solo torto di difendere i propri posti di lavoro e la sopravvivenza di decine di migliaia di famiglie" e parlano senza mezzi termini di un "patto che per tutti loro - governo, petrolieri e grande distribuzione organizzata - vale circa 50 miliardi di euro l’anno".
Tutto questo, dicono, "nulla ha a che fare con la modernizzazione del Paese, col mercato, con le liberalizzazioni, con l’interesse dei consumatori", ma semmai si traduce in "effetti demagogici sul piano della comunicazione e della propaganda".
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