BERÈS Venduto il tesoro del principe dei librai

A 93 anni il leggendario bibliofilo si ritira, vende la famosa libreria e mette all’asta i pezzi più preziosi

«Tutti questi volumi raccontano storie incantevoli. Basta saperli avvicinare, conservarli con cura, aprirne le pagine con gentilezza. Poi, sono capaci di dirmi tutto». Così ha dichiarato Pierre Berès - il libraio dei librai, forse l’ultima figura leggendaria ancora vivente della storia della bibliomania del Novecento - la scorsa settimana a TF1, in un’intervista condotta nella sua splendida casa metamorfica. Una casa in cui «come se il visconte di Chateaubriand si reincarnasse in James Bond», basta spingere un bottone nascosto perché l’immensa biblioteca ruoti su se stessa e in un cabinet protetto su tre lati da porte blindate si possano ammirare meraviglie della storia della letteratura e dell’editoria.
Pierre Berès ha consacrato la vita ai libri. Nel tempo ha posseduto pezzi che soltanto qualche centinaio di persone ha sfogliato prima di lui. Oggi ha novantatré anni: un’età appena giusta per ritirarsi. Come accade soltanto a pochi fortunati amanti fedeli, ovvero quelli dotati anche d’un machiavellico senso degli affari, i libri lo hanno reso ricco. Così, dopo aver chiuso la scorsa estate la sua storica libreria di avenue de Friedland, a due passi dall’Arco di Trionfo, ha deciso di mettere all’asta il suo cabinet: 177 lotti, la storia di una vita, che Pierre Berès non ha voluto seppellire con sé. Le oltre cinquecento pagine del Journal intime di Stendhal, uno dei più grandi manoscritti letterari dell’Ottocento ancora in mani private, e i sessanta rarissimi acquarelli a colori del ’500 attribuiti a Pierre Gourdelle sono soltanto due tra i pezzi più pregiati, battuti ieri a Parigi all’Hotel Drouot rispettivamente a 936mila euro e a un milione e 400mila euro (record assoluto per un libro venduto in Francia). E poi manoscritti e disegni originali di Piranesi, acqueforti di Canaletto, edizioni di Rimbaud, La Fontaine, Rousseau.
Amico di Paul Morand e di Picasso, editore di Aragon e di Barthes, il libraio che ha avuto tra i suoi clienti la principessa d’Orléans, François Mitterrand e l’Aga Khan ha alle spalle una vita romanzesca e costellata di misteri, a partire da quello della sua nascita, avvenuta nel 1913 a Stoccolma. Pare infatti che Pierre Berès, ovvero Berestov, sia il frutto naturale del peccato di un inglese e di una cortigiana russa parente del medico dello zar.
Non ha mai avuto capi né soci, mentori o santi in paradiso: solo un flair infallibile, il cui gene pare ormai essersi perduto. Si è fatto tutto da solo, Berès, a partire dai primi franchi guadagnati. Nel 1929, poco più che adolescente, ebbe l’idea della prima collezione: le firme illustri dei 39 membri dell’Académie Française, che raccolse personalmente, una per una, suonando campanelli e affrontando supponenti valletti. A diciassette anni concluse il suo primo affare da professionista: André Gide, che abitava in rue Vaneau a pochi passi da casa sua, gli affidò tre manoscritti da vendere, compreso Se il grano non muore. Maggiorenne, aprì la sua prima libreria, Incidences, in rue Laffitte 24, di fianco a un collega già affermato. Ne individuò le perle, che inserì a insaputa di quest’ultimo nel suo catalogo. A richiesta del cliente, usciva dal suo negozio, faceva due passi, acquistava l’oggetto dal concorrente e lo rivendeva seduta stante a un prezzo più alto.
In un periodo, a metà degli anni Trenta, in cui si traversava l’Atlantico per ben altri motivi, Berès si imbarcò per acquistare i manoscritti dei miliardari americani colpiti dalla crisi del Ventinove. Oltreoceano, dove gli affibbiarono subito il soprannome di «Pibi», dalle iniziali sui frequenti cablogrammi, lo si vide per anni alle aste far man bassa di tesori, mentre negli intervalli parigini collezionava interessanti chiose ai necrologi, «possiede edizioni originali...», «discendente dell’avvocato...» che divenivano parole chiave per rintracciare attraverso le generazioni migliaia di volumi.
Carismatico ed elegante - qualità per nulla offuscate dal quasi secolo di vita - travolgeva gli eredi con la sua carica seduttiva, per poi allontanarsi da storiche dimore à la manière di Fantomas e Lupin: bottino in spalla e biglietto da visita in bella vista. Ostinato fino allo spasimo, si racconta fosse capace di far visita per anni a illustri vedove con mazzolini di fiori o cioccolatini pur di ottenerne un manoscritto. E la capacità di seduzione, così come la volubilità con cui si separava dai pezzi conquistati, ha avuto la sua parte anche nella vita privata: tre matrimoni e otto figli a dimostrarlo. Fu nel 2001 che mise a segno la vendita che lo fece conoscere in tutto il mondo: gli 876 fogli manoscritti di Viaggio al termine della notte di Céline, di cui si erano perse le tracce da mezzo secolo, passarono di mano all’Hotel Drouot per due milioni di euro circa.
All’asta di ieri era iscritto anche il manoscritto autografo della Certosa di Parma, la versione rimaneggiata in cui Stendhal segue i consigli di Balzac. Avrebbe potuto disperdersi con il resto, capitare nelle mani di uno sconosciuto magari non così gentile nell’aprirlo, non così attento alle incantevoli storie.

Così il più grande libraio del mondo lo ha rimesso nelle mani del ministro francese della Cultura. Verrà ripagato con la Medaglia d’Oro di Gran Mecenate. Che prontamente chiuderà a doppia mandata nel suo cabinet ormai spoglio.

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