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Berlino ’47, tutte le colpe dei «Fumatori di sigari»

Berlino, 1947. Ogni mattina, alle 6.30, due uomini soli si incontrano in un negozio di tabacchi. Uno è il proprietario, l'altro un professore ebreo. Cos'hanno in comune? Un segreto che si portano nel cuore e anche alcuni frammenti della seconda guerra mondiale appena conclusa e finita con un popolo distrutto dalla storia. Comincia così Il venditore di sigari, la piéce di Amos Kamil, scrittore pluripremiato di cinema e teatro nato in Israele e cresciuto a New York, in scena nella al Teatro Litta da domani (debutto nazionale) a domenica 30 maggio (ore 21, domenica ore 17, info: 02-86454545, www.teatrolitta.it)). «Il sigaro intorpidisce i dispiaceri e riempie le ore solitarie con milioni di deliziose immagini», dicono i due uomini, interpretati da Gaetano Callegaro e Francesco Paolo Cosenza, che dovranno assumersi la responsabilità della loro appartenenza. «Io non sono di religione ebraica e proprio con questo distacco ho affrontato l'allestimento de Il venditore di sigari - spiega il regista Alberto Oliva - anche perché, prima o poi, tutti noi siamo chiamati a fare i conti con la nostra identità e a scegliere i tempi e i modi della nostra partecipazione sociale, proprio come hanno dovuto fare gli ebrei». Ne Il venditore di sigari i due protagonisti si rinfacciano le reciproche colpe, recriminano i torti subiti, ritornano con la memoria alla devastazione della guerra e all'ipocrisia della ricostruzione.

Ma alla fine arrivano a superare il dilemma dell'appartenenza, a scoprire chi sono veramente e quanto la storia ha condizionato la loro esistenza che, per anni, è stata sempre in bilico tra la vita e la morte. Lo fanno con parole dure, taglienti, perché, come diceva Renoir, «Il tragico nell'esistenza è che ognuno ha le sue ragioni».

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