Berlusconi-Milan, avanti così: "Voglio altri 25 anni di trionfi"

Il presidente ha celebrato con i suoi campioni la grande avventura: "Barcellona, il ricordo più bello. Rimpiango Dinho, se Kakà vuole..."

Berlusconi-Milan, avanti così: 
"Voglio altri 25 anni di trionfi"

Venticinque anni fa il calcio italiano cambiò completamente vita e divenne quasi un altro sport. «Divenne anche industria e questo riconoscimento mi appaga dei tanti sacrifici fatti», la prima confessione tenera di Silvio Berlusconi. Proprio di questi tempi capitò, nello stesso teatro milanese scelto ieri sera per festeggiare il compleanno numero 25, il Manzoni cioè, il cambio della proprietà azionaria del Milan, reduce da cento guai e dal rischio concreto di un fallimento. Arrivò il ciclone Berlusconi, prese per mano una squadra mal messa e cominciò una grande, incredibile avventura. Da quel giorno il calcio italiano cambiò pelle, convinzioni, filosofia, stile organizzativo: niente più catenaccio in giro per il mondo ma la ricerca del successo attraverso il controllo del gioco, «padroni del campo e del gioco» fu lo slogan fortunato di Silvio Berlusconi, il presidente. Niente più l'assetto artigianale della società, eseguita una rispolverata alle formule retrò delle coppe europee. La grande cavalcata cominciò con il raduno all'Arena scandito dagli elicotteri. «Nel calcio non si può fare dicevano in tanti e invece riuscì a entusiasmare l'ambiente» è la testimonianza di Franco Baresi, il capitano indimenticato di questo quarto di secolo rossonero.
«Non è cambiato niente rispetto a quei giorni, la missione resta la stessa. Anzi, il compito è quello di ripetere altri 25 anni di successi per restare il club più titolato al mondo» la chiosa firmata dallo stesso Silvio Berlusconi, arrivato insieme con la figlia Barbara, e accolto dagli esponenti della incredibile striscia di storia rossonera. Sacchi e Van Basten, Weah e Savicevic, Boban e Giovanni Galli, Cafù e Ancelotti, Galbiati, il fido assistente di Capello e Paolo Maldini con Massaro e Fuser, Pancaro e Ganz, Albertini: tutti insieme, e dietro le loro sagome le coppe scintillanti, hanno fatto da ala all'arrivo di tifosi eccellenti e comuni, di sponsor, quelli della curva sud e giornalisti. «Un ricordo su tutti si affolla nella mia mente: fu la serata di Barcellona '89, con 80 mila tifosi rossoneri al seguito, scandita dall'arrivo della prima coppa dei Campioni» è la pagina dell'album personale scelta da Silvio Berlusconi per incorniciare questi 25 anni che hanno cambiato la storia e anche il credito del calcio italiano. «Un presidente così ce l'abbiamo solo noi» è la semplice introduzione scelta da Gerry Scotti per accendere i riflettori della serata intrecciata con le testimonianze dei vari protagonisti sfilate in un film ricostruzione e resa attraente dalle canzoni di Ornella Vanoni.
Questo è il Milan di ieri, di oggi e naturalmente anche di domani. Riuscire cioè a trarre forza autentica dalle vittorie e dimenticare in fretta le sconfitte, per restare fedele alla missione principale, «vincere e convincere» fino al riconoscimento più recente, di squadra del secolo.

Perciò non meraviglia che Silvio Berlusconi lasci in un angolino l'esito non proprio esaltante dell'ultima domenica. «Una giornatona: 1 a 1, senza Ibra nel derby» commenta con i cronisti che lo circondano all'arrivo. «Ho visto solo il secondo tempo col Bari e potrei avere da dire sui due gol annullati e sul rigore non concesso a Pato, peccato» è il suo commento al match ball mancato. «Non c'è bisogno di dare la ricarica al gruppo, hanno bene in testa lo scudetto» è la sua convinzione.

Resa malinconica solo dall'eliminazione di Londra, «sono addolorato ma non sempre si può vincere» l'altro giudizio prima di promuovere Allegri («non ho consigli da dargli»), di rimpiangere Ronaldinho («mi è dispiaciuto non essere riuscito a fermarlo») e di allargare le braccia per stringere Kakà («se vuole tornare, noi siamo qui») e consolare Ibrahimovic («è un vero leader, si sacrifica per la squadra»).

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