TorinoManchester, 28 maggio 2003. Finale di Champions League: vince il Milan 3-2 dopo i calci di rigore. L'ultimo lo segna Shevchenko: prima di lui Serginho e Nesta per i rossoneri, Birindelli e Del Piero per la Juventus. Da allora, è successo di tutto. Nell'immediato, Ancelotti è diventato di colpo un allenatore vincente dopo che sulla panchina bianconera si era dovuto accontentare di due secondi posti al limite dell'assurdo: il primo a favore della Lazio nella «piscina» di Perugia, il secondo inchinandosi malvolentieri alla Roma al termine di un campionato in cui le regole furono cambiate in corsa e i giallorossi poterono schierare l'extracomunitario Nakata, rivelatosi poi decisivo (al pari dello sciagurato Van der Sar) nello scontro diretto di Torino. Poi il Milan ha messo in fila altri successi passando quasi indenne da calciopoli: la Juve ha invece dovuto restituire i tricolori vinti con Capello e reinventarsi regina della serie B, prima di tornare a respirare l'aria migliore.
Un colpo di slot cambiò la vita di tutt'e due, quella sera di cinque anni fa. Come disse Galliani: «Da quella vittoria di Manchester abbiamo costruito la nostra fortuna». Buttando giù dall'altalena la Juventus, prima di cadere a propria volta. E comunque, da allora, il buon Carletto ha vinto un'altra Champions League, un Campionato del mondo per club, uno scudetto, due Supercoppe europee, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana: scusate se è poco. Domani, in compenso, andrà in scena uno strano derby dell'Italia alternativa, lo scudetto dell'anti-Inter: chi vince resta attaccato all'obiettivo, chi perde rischia di salutare la compagnia. Ronaldinho ha fatto sapere che «nulla può essere considerato decisivo a dicembre», l'amministratore bianconero Blanc ha invece fatto professione di onestà ammettendo che «non ci si può permettere di finire a meno 9». Le squadre che per anni si sono divise lo scudetto - un anno a te e uno a me: dal 1992 al 1999 fu un duopolio assoluto - si troveranno a battagliare per un unico osso. Come raramente è accaduto, in realtà. L'ultima risale all'8 maggio 2005, Milan e Juve contro e 76 punti a testa: finisce 1-0 per i bianconeri, con un gol di Trezeguet servito da una rovesciata di Del Piero. Era la partita-scudetto, certo: poi però è arrivata calciopoli e addio tricolore. I bianconeri lo sentono ugualmente proprio, è chiaro, ma l'ufficialità è quella che conta. E allora l'ultimo scudetto vinto dalla Signora risale (guarda caso) al 2002-03, 7 punti di vantaggio sull'Inter e 11 sul Milan: Lippi in panchina, ultima giornata di campionato il 24 maggio. Poi, quattro giorni dopo, la notte di Manchester e il «perdente di successo» che sale sul tetto d'Europa.
Quest'anno ad Ancelotti si chiede di dedicarsi anima e corpo al campionato, visto che la Champions è affar d'altri. Ieri Berlusconi ha tirato le orecchie ai suoi da Bruxelles: «È vero che abbiamo subito due brutti colpi come gli infortuni di Nesta e Gattuso, ma abbiamo anche alcune colpe e non sappiamo gestire i finali di partita. Quando si vince 1-0, una squadra come il Milan non dovrebbe far vedere la palla all'avversario: invece continuiamo a giocare come prima. Una volta, mi sembra a Lecce, in nove minuti abbiamo dato sei volte la palla all'avversario: così non si fa».
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