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BERLUSCONI: NON CONTO NIENTE

Chi ha potere in questo Paese? Silvio Berlusconi ieri ha dato una risposta. «Non io». Poi ha citato Mussolini, che una volta disse: posso decidere se fare andare il mio cavallo a destra o a sinistra, non altro, il potere forse lo hanno i miei gerarchi. Lo sfogo del premier arriva a sera da Parigi, dopo i giorni tesi della manovra finanziaria, che forse lui avrebbe voluto diversa ma che alla fine è così anche perché è stato lasciato solo e non si può sempre combattere contro il mondo. E arriva al termine di una giornata nella quale, per la seconda volta in poche settimane, Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, gli ha detto no all’invito di prendere il posto che fu di Scajola a capo del ministero dello Sviluppo Economico.
Il primo rifiuto avvenne in privato, ieri mattina si è ripetuto in pubblico, nel corso dell’assemblea del centenario di Confindustria. Quando il Cavaliere ha simbolicamente chiesto alla platea di votare in diretta la sua nomina a ministro, nel salone è sceso il silenzio, solo una mano si è alzata. E non per sfiducia nelle capacità della presidentessa. I presenti raccontano infatti di una certa freddezza del gotha degli industriali nei confronti del premier. Oggi i commentatori molto probabilmente si impegneranno a dimostrare sui giornali come tutto ciò sia il segnale della rottura dell’asse tra il mondo delle imprese e il presidente del Consiglio. Tacendo due cose.
La prima. Quel «no» alla Marcegaglia ministro era scontato ed è stato probabilmente cercato apposta dal Premier per fare uscire allo scoperto un certo mondo industriale che nicchia nel prendersi le responsabilità di aiutare il Paese a uscire dalle secche economiche, che sotto sotto elemosina aiuti pubblici mentre in tv e sui giornali fa la vittima criticando chi si fa in quattro per accontentarlo, cioè questo governo.
La seconda osservazione è che è tutto da dimostrare che l’assemblea di ieri rappresenti davvero quel popolo di imprenditori che da anni costituisce la spina dorsale del berlusconismo. Semmai è vero il contrario. Nel salone di Confindustria c’erano per lo più le stesse facce che la sera si incontrano nei salotti romani (e non solo) a pontificare sui massimi sistemi, che strizzano l’occhio alla sinistra, che passano più tempo in convegni che in azienda. Molti di loro (compresi quelli seduti sul tavolo della presidenza), le imprese non le hanno costruite ma ereditate e affidate quasi in toto a manager. Questa nomenclatura romana, d’apparato e da casta, in realtà non ha mai amato Berlusconi, al massimo ha cercato di usarlo.
Altra cosa è invece l’imprenditoria reale, per esempio quei due milioni di imprese che nei giorni scorsi si sono riunite in una nuova associazione, Rete Italia, proprio per marcare una diversità dal salotto confindustriale. Quelle stanno ancora con Berlusconi, lo dicono i risultati elettorali e i sondaggi. E su quelle il premier dovrebbe contare per evitare un 24 luglio, quella seduta del Gran consiglio del fascismo - per restare in tema ducesco - nella quale i gerarchi esautorarono Mussolini. Senza per altro trarne, come insegna la storia, grandi benefici.

Finirono anche loro a testa in giù.

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