Milano - «Ma basta, ma basta!». Il drappello di ammiratori irriducibili aspetta Silvio Berlusconi davanti al seggio e gli fa da scudo umano. Si irritano molto più loro del premier quando i cronisti provano a interrogarlo sui destini della casa in Sardegna che ha fatto da sfondo a fotografie e pettegolezzi. Presidente, vende villa Certosa? «No». Vuole replicare? Lui si sottrae e sembra più annoiato che infastidito, mentre la gente si arrabbia (con i giornalisti). Taglia corto: «Sono tutte cose che non vale la pena né di leggere né di commentare».
Una signora mostra solidarietà: «Tenga duro». Berlusconi sfoggia sicurezza: «Perché non dovrei tener duro?».
Arriva un’altra domanda. Ha bisogno di una first lady come Carla Bruni, l’italienne che ha sposato il presidente francese Nicolas Sarkozy? Il suggerimento è nientemeno che del finanziere Tarak Ben Ammar, rilanciato da un’intervista sulla prima pagina del Corriere della sera. «Ha visto che titoli, è pazzesco...». Tra la folla una donna gli dà del «puttaniere» e si lamenta delle «zoccole», un’altra lo chiama «papi», un signore chiede di aumentare le pensioni.
Contestazioni isolate messe a tacere dai sostenitori che si avvicinano per stringergli la mano, farsi fotografare, baciarlo. Qualcuno grida: «Presidente vai avanti, non dare retta alla Repubblica delle banane!».
Fin qui l’attualità tra vita privata e gossip, il tipo di argomenti che il presidente del consiglio vuole far annegare nell’indifferenza. Berlusconi ritira tutte le schede, quella per il ballottaggio alla Provincia di Milano e i tre quesiti del referendum.
Con gli elettori che lo prendono d’assedio fuori dalla scuola di via Scrosati parla di politica: «Penso proprio che vinceremo noi». Annuncia una stagione di grande attività dell’esecutivo: «Adesso facciamo un incontro in cui mettiamo giù il programma di governo del prossimo anno. Ho una squadra di ministri bravissimi. Sarà un programma assolutamente concreto, che rispetterà quel che ho promesso agli elettori».
Non nasconde le difficoltà: «Il programma è tutto da realizzare. Ci sono cose impossibili perché abbiamo ricevuto un’eredità pesante. Quando uno ha il centodieci per cento del Pil come debito, è molto difficile». Rivendica: «Finora abbiamo fatto un sacco di cose, anche se siamo stati impegnati con il terremoto, i rifiuti, l’Alitalia, la riforma del processo civile, adesso riformeremo il penale».
Si discute di legge elettorale e forme di governo. Presidenzialismo? Berlusconi non nasconde che gli piacerebbe ma spiega che per toccare le regole condivise è necessaria una maggioranza molto ampia: «Le riforme che si possono fare sono quelle mediamente accettate da tutti, altrimenti uno fa una violenza rispetto agli altri, anche se avremmo i numeri per farle. Quando si fa una riforma importante, bisogna che la maggioranza del Paese sia decisa in quella direzione». Si sfoga per quelli che ritiene limiti alla sua possibilità di operare: «Io non ho nessun potere. Non sono un capo dei ministri, ma un primus inter pares, non nomino i ministri né li dismetto. Mentre il capo dello Stato li chiama e loro vanno da lui quando vuole e come vuole, io non avrei nemmeno questo potere. Quindi tutto ciò che ottengo dai ministri risiede nella mia personale autorevolezza».
Vent’anni di fascismo sono stati la premessa alla Costituzione.
«Allora a questo punto che cosa hanno detto giustamente i padri costituenti? Tutto il potere lo diamo al Parlamento e non lo lasciamo al governo».
Oggi, però, aggiunge Berlusconi, è arrivato il momento di cambiare: «Sono convinto che si dovrebbe fare la modifica, che avevamo già realizzato, di concedere al presidente del Consiglio il potere di nominare e dismettere i ministri». Conclude: «Non è logico che in una squadra, se uno non funziona non possa essere sostituito».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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