Economia

Bernanke e il petrolio preoccupano i mercati

da Milano

Doppia doccia fredda per i mercati, indeboliti ieri dalla brusca impennata del petrolio nella notte di martedì (picco a 68 dollari il barile), provocata dai rischi crescenti di un’azione militare contro l’Iran, e dalle parole con cui il presidente della Federal reserve, Ben Bernanke, ha di fatto smontato le ipotesi di un taglio dei tassi. In particolare, non è sfuggito alle Borse uno dei passaggi-chiave dell’intervento al Congresso Usa del successore di Alan Greenspan: quello in cui Bernanke precisa che in occasione dell’ultimo meeting del Fomc (il braccio operativo in materia di politica monetaria) «non ci siamo allontanati dall’orientamento restrittivo». Il comunicato finale reso noto al termine della riunione del 21 marzo scorso, in cui non compariva la frase relativa a ulteriori, possibili strette, aveva invece indotto analisti e mercati a dare una diversa interpretazione delle strategie della Fed e a concedere quindi maggiori chance a un alleggerimento delle redini monetarie.
La puntualizzazione di Bernanke ha avuto immediati riflessi a Wall Street, con gli indici scesi attorno al punto percentuale, e impedito ogni recupero in Europa, dove le perdite sono comunque state contenute (meno 0,33% Milano). A preoccupare il numero uno della Fed è ancora una volta l’inflazione, soprattutto la parte core che rimane «alta in modo preoccupante», ma inediti accenti di inquietudine sono stati riservati anche alla frenata del settore immobiliare con particolare riferimento ai problemi del settore dei mutui subprime che «sollevano ulteriori interrogativi sul mercato del mattone». La banca centrale americana è così costretta a «monitorare la situazione attentamente», anche se «l’impatto (sui mercati finanziari e sull’economia) della crisi dei mutui subprime sarà probabilmente contenuto». Secondo Bernanke, le prospettive economiche restano «incerte», e nella prima parte del 2007 la crescita non dovrebbe superare il 2%, un livello che indicherebbe un’ulteriore decelerazione rispetto al peraltro deludente risultato del quarto trimestre dello scorso anno (più 2,25%). Improbabile comunque, almeno sulla base delle analisi della Fed, che la minor crescita possa stemperare le tensioni inflazionistiche.
Il rialzo dei prezzi del petrolio (sette consecutivi, dopo quello di ieri) certo non aiuta a raffreddare i prezzi, né le prospettive sembrano a favore di un rapido ripiegamento delle quotazioni del greggio, ormai ai massimi degli ultimi sei mesi anche a causa dell’inaspettato calo delle scorte Usa. Non almeno senza una soluzione pacifica della crisi con l’Iran. I precedenti storici non sono d’altra parte incoraggianti. Anzi: tra il 1979, anno dell’insediamento di Khomeini e del rovesciamento del regime dello scià, e il 1981 il taglio delle esportazioni petrolifere iraniane provocò un ininterrotto rialzo dei prezzi dell’oro nero, che toccarono i 35,24 dollari il barile (ai valori attuali, 79,67 dollari).

Gli Stati Uniti hanno infatti già annunciato che saranno utilizzate le riserve strategiche in caso di una riduzione dei rifornimenti dall’Iran.

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