RomaOcchio per occhio, dente per dente, sondaggio per sondaggio: nel Pd in guerra pre-congressuale sembra entrata in vigore la legge del taglione e della rappresaglia immediata.
Ieri mattina il quotidiano Il Riformista ha sparato in prima pagina un sondaggio Ipr che dà Pierluigi Bersani in testa, anzi «in fuga», nella competizione per la segreteria del partito: 54% delle preferenze contro il 35% di Franceschini e l11% di Ignazio Marino. Mentre dal fronte bersaniano iniziava un fuoco di fila di festeggiamenti, da quello del segretario in carica partiva prima un secco «no comment» («Niente guerra dei sondaggi»), poi una serie di critiche alla «attendibilità» della rilevazione e di avvertimenti: abbiamo sondaggi anche noi, e molto diversi. A sera, infine, è spuntato il primo contro-sondaggio. Limitato alla Liguria, ma significativo perché quella regione costituisce ancora un grosso serbatoio di voti di sinistra, che in teoria dovrebbero orientarsi più sullex ds Bersani che sul post-ppi Franceschini. Invece il sondaggio Opimedia diffuso ieri dà in netto vantaggio il segretario in carica, con il 39%, lasciando lex ministro delle «lenzuolate» al 23% e Marino al 4%.
Cè da aspettarsi che altre rilevazioni trapelino, nei prossimi giorni: nel quartier generale di Franceschini assicurano che Ipsos, su loro commissione, ha effettuato sondaggi «scientificamente fondati» regione per regione. E che i risultati consegnerebbero al successore di Walter Veltroni un buon vantaggio «in tutto il Centro-Nord», mentre al Sud sarebbe in testa Bersani.
Il quale, in vacanza sulla costa adriatica pugliese, per ora tace sulla battaglia interna. A sottolineare il successo annunciato dal Riformista ci pensa il coordinatore della sua mozione, Gianni Pittella: «Il sondaggio suggerisce una considerazione politica difficilmente contestabile: il nostro elettorato reclama la designazione di una guida saggia e autorevole, che coniughi innovazione e concretezza. E Bersani garantisce entrambe». Gli fa eco la neo-parlamentare Alessia Mosca, che fa parte dellarea di Enrico Letta: «Bersani è il candidato che può fare meglio al Pd» e assicurare una «vera innovazione».
Dal fronte opposto, è Piero Fassino che si incarica di contrattaccare, prima prendendosela con Il Riformista «ormai da tempo organo ufficiale» dalemian-bersaniano; poi avvertendo che «cantare vittoria troppo presto è rischioso: valga quello che è accaduto nelle primarie americane a Hillary Clinton, data per sicura vincente». LObama-Franceschini, dunque, ha grosse possibilità di rimonta. E comunque quel sondaggio, per Fassino, non fa testo: «Difficile commentarlo, tanto è vago e contraddittorio». Dura la risposta del quotidiano di Polito, che accusa Fassino di «vizi da Comintern».
In casa franceschiniana si dicono convinti che il tallone dAchille di Bersani sia proprio il suo principale sponsor, Massimo DAlema. La sua presenza ingombrante e il suo attivismo politico farebbero ombra al candidato, e ne condizionerebbero le mosse. Un esempio? Nel Lazio, il candidato segretario regionale scelto da Bersani con laccordo di Letta, Bindi e Zingaretti, influente presidente della provincia di Roma ed ex veltroniano, era leconomista Stefano Fassina, direttore della fondazione bersaniana Nens e stretto collaboratore dellex ministro. Ma i dalemiani lo hanno bocciato, imponendo il proprio candidato: Alessandro Mazzoli, 37 anni, presidente della provincia di Viterbo e pupillo del tesoriere ds Ugo Sposetti. Scelta che ha provocato un mezzo terremoto nellarea bersaniana locale, che al voto rischia di frammentarsi.
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