Bersani e Franceschini, scontro a colpi d'insulti

La conta nei circoli del Pd diventa una guerra tra i due candidati principali: Bersano in vantaggio. Ma a Bologna finora ha votato appena il 30% degli iscritti. In Liguria i rivali accusano i dalemiani di "stile mafioso"

Bersani e Franceschini, scontro a colpi d'insulti

Roma - Se persino la rossa Emilia Romagna si è stufata, qualcosa si è rotto davvero. Fino a ieri, a Bologna aveva votato solo il 30 per cento degli iscritti Pd, uno dei risultati più bassi d’Italia: la media nazionale è attorno al 55 per cento, e ormai si è all’ultimo giro di boa: i congressi di circolo si chiudono domenica.

In Liguria, altra roccaforte di sinistra, si è invece ad accuse da codice penale: il vicepresidente della regione Massimiliano Costa, schierato con Franceschini, parla di «stile mafioso» degli avversari bersanian-dalemiani, che sono in testa: «Sono stabiliti lì da decenni e fanno nostalgiche operazioni di partito», contro la «vera democrazia». Ad Avellino la partita congressuale rischia di finire al Tar, tra ricorsi e contro-ricorsi delle varie mozioni sulla regolarità dei congressi, e scambi di improperi, tra dirigenti di partito, che vanno dal «mentitore spudorato» allo «sconcio calunniatore». Al Sud, denuncia intanto il franceschiniano Adinolfi, «Bersani vince grazie al tesseramento inquinato». Roba da 416bis.

E non è che a Roma vada meglio. Il caos è tale che nel voto alla Camera sullo scudo fiscale le 69 assenze del Pd (compresi D’Alema, Bersani e Franceschini) hanno fornito al Pdl «un aiuto fondamentale: uno scandalo», come denuncia la Velina Rossa. Il quotidiano del Pd Europa ieri parlava di «Caporetto comunicativa» del partito, avvertiva: «Così si corre il rischio che perdano tutti», e denunciava: «Nessuno pensa al dopo».

Filippo Penati, il coordinatore della mozione Bersani che ha invitato Franceschini a prendere atto della sconfitta congressuale che lo delegittimerebbe come segretario, non si è affatto pentito del putiferio suscitato. «Il dato che Franceschini deve commentare è che due iscritti su tre non hanno ritenuto di votarlo», infierisce. I supporter del segretario si infuriano: «Penso che Penati sia un irresponsabile, uno che non vuole bene al suo partito ma soprattutto all’Italia», proclama Debora Serracchiani. Spiegano i ben informati che in realtà nell’assalto di Penati, che rivendica la vittoria già acquisita di Bersani (l’ultimo computo gli assegna il 56,5% dei voti contro il 35,9 di Franceschini, con Marino al 7,7%), c’era l’intento di costringere il segretario a venire a patti con gli antagonisti sugli spazi tv, e a rinunciare al suo «indebito vantaggio». Ora che si apre la partita delle primarie la visibilità nei Tg conterà parecchio, e il leader in carica volendo può stare in tv tutte le sere a rispondere a Berlusconi a nome del partito. Cosa che Bersani vuole a tutti i costi evitare. Solo che Penati ha calcato un po’ troppo la mano ed è successo il finimondo.

Ma il dissidio tra partito degli iscritti (che votano Bersani) e partito delle primarie (che sono «tutte aperte», come dice Fassino) resta insanabile, grazie ad uno statuto che prevede la doppia legittimazione del segretario. «Un caso unico al mondo», dice sarcastico Gavino Angius, «perché se è il “popolo”, cioè i non iscritti, ad eleggerlo, perché mai ci si dovrebbe iscrivere al partito? Che senso ha la sua esistenza?».

Delle primarie i dalemiani avrebbero ben volentieri fatto a meno. Ma lo statuto venne votato in era veltroniana, e dunque si trovò quello che la franceschiniana Federica Mogherini definisce «un compromesso molto al ribasso: invece di scegliere tra due strade, si sono semplicemente accostate». E così ci si ritrova con due strade che potrebbero portare a due segretari, e a due partiti.

I veltroniani ieri erano furibondi per un commento attribuito a D’Alema: «Se si vuol ribaltare la decisione dei tesserati, noi seguiremo i tesserati». «Si tratta di una evidente minaccia di scissione, deve smentirla», attacca Enrico Morando. La smentita arriva solo a tarda sera.

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