Bersani ride e abbraccia i suoi indagati Ma se scoppia il caos cade dalle nuvole

Bersani ride e abbraccia i suoi indagati Ma se scoppia il caos cade dalle nuvole

Tutti amici. Tutti insieme. Tutti per il partito di Pier Luigi Bersani. Tutti con Pier Luigi Bersani. Filippo Penati, il più famoso, Luigi Lusi, Franco Pronzato. Sorridono tutti soddisfatti, in questa galleria di foto. E il segretario del Pd si compiace, giochicchia, scherza. Ora Bersani prende le distanze, stigmatizza, s’indigna. «Non faremo sconti a nessuno, come sempre», afferma con cipiglio il segretario dopo aver scoperto l’incredibile vicenda di Lusi, l’ex tesoriere della Margherita che avrebbe intascato 13 milioni di euro del partito, fra il 2008 e il 2011. E li avrebbe utilizzati per acquistare case e migliorare il proprio tenore di vita. Come è possibile che questa storia sia andata avanti per tre anni e nessuno si sia accorto di niente?
Al Pd cascano sempre dalle nuvole. Sono caduti dalle nuvole quando sono emerse le tangenti che hanno inguaiato un peso massimo come Penati, ex presidente della Provincia di Milano e per un certo periodo capo della segreteria di Bersani, dunque suo braccio destro e a lui legato a filo doppio. Alcuni imprenditori hanno raccontato di aver pagato tangenti nelle mani di Penati, si è parlato di un sistema Sesto, visto che Penati è stato anche sindaco di Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia e oggi capitale delle tangenti rosse; poi c’è anche il capitolo Serravalle in attesa di chiarimenti che per ora non sono arrivati. L’inchiesta era nata a Milano, ma poi per competenza le carte sono state dirottate a Monza, procura nevralgica ma comunque più defilata, persino periferica, rispetto alla strabordante Milano. E così il lavoro di scavo, pur esplosivo, si è svolto se non al riparo dai riflettori, almeno in un clima meno incandescente.
Dev’essere una consuetudine per il Pd, come prima per il Pci-Pds-Ds. Nel ’93, Mani pulite, che aveva travolto e raso al suolo il pentapartito e un sistema di potere che andava avanti da cinquant’anni, sfiorò Botteghe oscure, ma anche in quell’occasione i nomi che rimbombarono sui giornali furono sempre gli stessi, a cominciare dal leggendario Primo Greganti, il compagno G. Il salto di qualità non ci fu. Quasi vent’anni dopo, i metodi sono sempre gli stessi. Penati resiste, imbullonato alla sua sedia in Consiglio regionale: ha lasciato il Pd e è entrato nel gruppo misto, con un ulteriore aggravio di oltre 200mila euro per i contribuenti. La vicenda Penati è servita solo per mandare definitivamente in soffitta l’antica e indimostrata teoria che voleva una superiorità morale del partito nato dalle ceneri del Pci. Anzi, dal quartiere generale del Pd se la sono cavata così: «Non siamo diversi geneticamente, ma politicamente». Una risposta che non vuole dire nulla, ma va bene. Ai piani alti hanno assorbito il colpo e vanno avanti come prima. Intendiamoci, prima di affibbiare la patente di corrotto a chiunque occorre prudenza. Molta prudenza. Ma le responsabilità in certi casi non possono essere ritagliate con la forbice della giustizia penale, appartengono alla politica. E invece lo stato maggiore del Pd non si è messo in discussione, anche se Penati era parte dell’establishment e rappresentava il lato migliore, quello più pragmatico, dialogante e vincente del partito.
Anche la vicenda Pronzato è scivolata via, come acqua sulle dita. La scorsa estate il consigliere d’amministrazione dell’Enac ed ex responsabile trasporti del Pd ha patteggiato ed è tornato in libertà. I riflettori, accesi per un breve momento, si sono spenti. Bersani, che giocherellava pericolosamente con il portafoglio dell’amico, ora si è rimesso le mani in tasca. E ha ripreso la vecchia postura seriosa: aspetta spiegazioni, tanto lui non ne deve dare.
Le mele marce, sempre che lo siano, bastano e avanzano come spiegazione genetica di qualche frutto rosso ma bacato. L’albero è sano per definizione e il suo leader ci resta appeso, come Tarzan. Succederà anche questa volta: anche se gli ammanchi di Lusi paiono lunari per dimensioni e durata, anche se sembra incredibile che nessuno si sia mai accorto di quel che stava combinando. Francesco Rutelli, che si fidava ciecamente del tesoriere, ora si dice addolorato. Fine.

Lusi intanto si avvia a patteggiare la pena. Così anche questa indagine corre verso la conclusione. Soft: soffice e silenziosa. Il partito è salvo, come sempre. E il suo capo resta senza ammaccature. Può tornare a sorridere. Anche se è sempre più solo.

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