Politica

Bersani sconfitto pure dal ridicolo

diLa sconfitta di Pier Luigi Bersani è ancora più catastrofica di quelle accumulate in questi anni: peggio di Milano nel 2011 (quando Giuliano Pisapia battè il candidato bersaniano Stefano Boeri) di Genova nel 2012 (quando Marco Doria prevalse sulla candidata bersaniana Roberta Pinotti) e persino del caso di Napoli dove nel 2011 Luigi de Magistris stracciò al primo turno il candidato del Pd e poi sconfisse quello di centrodestra. In tutte quelle occasioni, Bersani aveva perso una battaglia politica ma mantenuto una sua linea distintiva e dopo il voto poteva far pesare la forza rappresentata dal suo campo. A Palermo invece il segretario del Pd ha avuto una pensata opportunista: il candidato radicale d’accordo con Antonio Di Pietro e Nichi Vendola lo scelgo io e così vinco di sicuro. E invece ha perso tutto perché ha vinto un candidato Maurizio Ferrandelli, un dipietrista che mette insieme l’area giustizialista del Pd guidata da Giuseppe Lumia (provenienza Fuci) e il sistema di potere post-Dc di Raffaele Lombardo e Totò Cardinale. E così Bersani non è più né svincolo di potere né presidio di posizioni ragionevoli: perde su tutti i fronti.
Come può accadere un simile disastro? L’idea di gestire una fase così tempestosa solo con prassi burocratiche e manovrette politiche non poteva che generare simili risultati. Bersani vuole navigare tra l’asse Di Pietro-Vendola che si prepara a elezioni con alternativa di sinistra (e Romano Prodi al Quirinale) e quello Enrico Letta-Veltroni che punta su possibili grandi coalizioni e vuole sul Colle o un riconfermato Giorgio Napolitano o Mario Monti. Entrambe non sono posizioni granché elaborate, ma almeno in qualche modo parlano al Paese, e sono sostenute l’una dalla Repubblica, l’altra dal Corriere della Sera. Di fronte a questo quadro, mentre il suo grande (ex?) protettore Massimo D’Alema cerca solo un’intesa con Pier Ferdinando Casini (con promessa di presidenza della Repubblica), Bersani dovrebbe rivolgersi all’Italia, con proposte di grande riforma per superare l’impasse della politica, dovrebbe parlare ai lavoratori suoi elettori perché aiutino la Cgil a uscire dal binario morto su cui è finita (con la Fiom suo sindacato industriale più potente al traino dei pazzi estremisti dei No Tav). Invece nel suo partito quelli che prendono iniziative si ispirano più a Napolitano che a lui (così Luciano Violante o Pietro Ichino). Lui non sa che pesci prendere. E arriva a fare della furbate - come quella di candidare Rita Borsellino alle primarie del centrosinistra di Palermo - per le quali non ha neanche lo stile per vincere: un movimentista radicale con il suo stile burocratico non eccita nessuno. E così commette l’errore più grave per un politico: perdere è sempre possibile, soprattutto nella nostra Italia dalle mille città e dalle mille elezioni. Ma perdere tenendo insieme le proprie truppe può essere l’occasione per riprendere l’iniziativa qualche tempo dopo.

Essere sconfitto dal ridicolo, invece è praticamente irrimediabile.

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