Bersani ha un piano, che per brevità potremmo riassumere così: il governo faccia il lavoro sporco fino a Natale, dopodiché è meglio che si tolga dai piedi e «venga restituita la parola agli elettori». Cioè, in questo caso, ai partiti: che hanno ingoiato a malincuore il governo Monti e ora già pensano all’occasione migliore per farlo cadere. Per Bersani votare a marzo significa incassare due risultati: la leadership della coalizione di centrosinistra e un gruppo parlamentare di «nominati», cioè di fedelissimi. È per questo che il segretario ha un piano: un piano per far cadere il governo.
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi, adesso non succede niente», assicura un giovane e autorevole dirigente del Pd. «Questa manovra la votiamo, anche senza Di Pietro e contro Vendola, anche se la Cgil fa lo sciopero generale... Chiederemo qualche modifica che probabilmente non avremo, e la voteremo così come abbiamo promesso a Napolitano. Con l’emergenza non si scherza. I problemi verranno dopo, a gennaio, a febbraio...».
Il parlamentare democratico, che preferisce restare anonimo, appartiene alla corrente riformista del partito: intendendo per riformisti tutti quelli che - da Veltroni a Letta - non hanno apprezzato la deriva neofrontista di Bersani e considerano indigeribile, e soprattutto fallimentare, la prospettiva di un’alleanza con i soli Vendola e Di Pietro.
Quanti sono i riformisti nel gruppo parlamentare del Pd? Molti, più della metà, sostiene il deputato: perché il gruppo l’ha fatto Veltroni e, nonostante le defezioni e i cambi di corrente, «la maggioranza di noi è pronta ad appoggiare il governo Monti fino alla fine della legislatura».
Che siano maggioranza o no, di certo i riformisti non hanno le stesse idee del segretario. Per Bersani oggi il governo tecnico è una scelta obbligata, ma non per questo è la preferita. Si è piegato ai desideri del Quirinale ma non ritiene di aver firmato nessuna cambiale in bianco.
Fino a Natale Monti ha campo libero: la copertura di Napolitano è completa e, osservano i bersaniani, questo diventerà un vantaggio, perché in nome dell’unità nazionale quirinalizia il Pd conta di riuscire a fronteggiare l’opposizione dei sindacati, di Vendola e di Di Pietro.
Ma dopo Natale la situazione cambia. A gennaio sapremo se la situazione finanziaria si è rasserenata quel tanto che basta per rendere meno pressante l’emergenza; e sapremo se si terrà il referendum elettorale. La tentazione di farlo saltare, non con una riforma condivisa, che oggi appare difficile, ma con lo scioglimento delle Camere è fortissima in entrambi i maggiori partiti, e Bersani sa che su questo punto cruciale potrà avere qualche aiuto da Alfano. L’ideale, per il segretario del Pd, sarebbe proprio un’intesa bipartisan che sciolga la supermaggioranza con la stessa agilità con cui è stata formata. In questo caso né il Quirinale né l’opinione pubblica (ammesso che a gennaio sia ancora così favorevole al governo) avrebbero molto da obiettare, e Monti dovrebbe fare le valigie.
Nel Pd (e nel Pdl) c’è chi pensa l’esatto contrario: e cioè non soltanto che il governo Monti debba durare fino al 2013, ma che questo tipo di maggioranza, nelle forme e con gli aggiustamenti più opportuni, potrebbe presentarsi agli elettori per proseguire il suo lavoro anche nella prossima legislatura. È una minoranza per ora sparuta, e soprattutto silenziosa, ma costituisce il più insidioso nemico di Bersani: domani potrebbero ritrovarsi su questa linea personalità diverse e influenti come Veltroni e Renzi.
Quanto a D’Alema, chi lo frequenta assicura che non ha affatto abbandonato la sua vecchia idea: riforma elettorale «alla tedesca» e alleanza con l’Udc nel 2013, con relativa spartizione di Palazzo Chigi e Quirinale. Entrambi gli obiettivi hanno bisogno di tempo, ed è per questo che il presidente del Copasir è stato il più attivo a convincere Bersani nel via libera a Monti e oggi è il più impegnato a tenerlo calmo.
Gli osservatori, tuttavia, si chiedono fino a quando Bersani si farà trattenere
da D’Alema, e che cosa accadrebbe in caso di rottura. «Nei momenti topici - ricorda un senatore del Pd - D’Alema e Veltroni hanno sempre trovato l’accordo». E questo non sarebbe certo il primo segretario che fanno fuori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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