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La Berté minaccia il suicidio ma la salva ancora Renato Zero

Una giornata barricata in hotel a Roma: l’ultima "follia" della regina della trasgressione. "Io con la vita ci litigo"

La Berté minaccia il suicidio ma la salva ancora Renato Zero

Roma - L’ultima l’ha combinata ieri e chissà che cosa pensava Renato Zero attraversando la hall dell’Aldrovandi Palace ai Parioli per andarla a recuperare nella sua stanza: Loredana, ancora lei. Da mezza giornata la Bertè era asserragliata seguendo il solito copione, porta chiusa e insulti a chiunque, perché per lei la vita è sempre la stessa, una crociata contro nonsochi per ottenere nonsocosa. L’importante è strillare, urlare, usare l’attenzione degli altri come anestetico delle proprie angosce e (talvolta) delle paturnie che l’accompagnano da quarant’anni. Tanto lo sapete, ne ha combinate di cotte e di crude, risse arresti polemiche tentati suicidi, e non fa neanche notizia quando, come ad agosto a Cercemaggiore vicino a Campobasso, arriva ai concerti con tre ore di ritardo e canta fino alle quattro del mattino. Loredana Bertè è la Treccani degli eccessi sin da quando nel ’74 è stata la prima a cantare la parola «cazzo» in un brano. A lei basta poco, per scoppiare, un pretesto qualsiasi.

Stavolta è stato un mal di schiena e vai con il 118, la polizia, l’andirivieni dei (pochi) amici e della sorella Leda, oltre che del benefico Renato Zero, storico badante, anche economico, della cantante più folle di tutte sin da quando ballavano insieme nello show di Rita Pavone. Cinque anni fa, a Milano, dopo un’esplosione di insulti per un rubinetto svogliato nella sua casa di via Ariosto (proprietà della moglie di Mike Bongiorno), all’una di notte addirittura otto poliziotti l’hanno portata via di peso: due notti di punizione al Policlinico tra i malati di mente. Robetta al confronto di quella notte di dieci anni prima, sempre a Milano, con il suo allora marito Bjorn Borg: tutti e due finirono all’ospedale portandosi dietro i sospetti di abuso di cocaina e di tentato suicidio. «Io con la vita ci litigo, non ho mai fatto pace» ha detto lei due anni fa presentando il suo bel cd Babybertè che la mostra per come è: grande cantante, donna arruffata. Non fosse così, non avrebbe mai detto che Mogol «fa rapine con il passamontagna»; non sarebbe mai stata querelata persino da sua madre dopo la morte della sorella Mia Martini; non avrebbe ricoperto di insulti il giudice di Milano che l’aveva appena condannata a risarcire il suo ex paroliere Marco Marsili (risultato: altra condanna per oltraggio). Sarà per questo che vive pressoché isolata, si lamenta appena può ma gode della sua solitudine salvo poi scatenarsi per reclamare attenzioni. E quando lo fa sono dolori a meno che non sia con la luna giusta perché accade raramente, ma accade: pochi mesi fa ha improvvisamente donato ventimila euro, proprio lei che si lamenta sempre di essere in bolletta, al quotidiano il manifesto in difficoltà. Ma che volete, sempre di esplosioni si parla.

Tanto per dire, a Sanremo, in quell’hotel vicino all’Ariston, ricordano ancora la sua mostruosa scenata con tanto di diretta tv e consueto asserragliamento in stanza (non ritenuta all’altezza, una sua abitudine).

D’altronde è sempre così: le dive vere, mica quelle di cartone, cercano il successo per avere qualcos’altro e poi passano tutta la vita a chiedersi cosa sia.

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