da Roma
Una svolta. Un «adeguamento programmatico» che affronti «i problemi del Paese». Un cambiamento radicale che si basi su una «nuova politica dei salari». Questa per Fausto Bertinotti è «la chance» in mano a Romano Prodi per restare in sella, questa è la sterzata che il Professore dovrebbe dare al governo se vuole invertire la tendenza. Certo, il suo fallimento è lampante: «Basta andare in giro, parlare con qualsiasi persona. La realtà è quella, il nervosismo si induce quando non la si vuole vedere». Eppure, dice il presidente della Camera, Prodi ha ancora una possibilità, una strada, intervenire sulle buste paga.
Una via strettissima, visto anche il contemporaneo e opposto ultimatum lanciato da Lamberto Dini, che fotografa un Prodi prigioniero in una morsa sinistra-centro. In un colloquio con Rai Parlamento, Bertinotti conferma tutti i suoi recenti giudizi negativi sull’operato del centrosinistra, un’esperienza che considera sostanzialmente conclusa. «Mi sembra del tutto evidente, quell’intervista era senso comune. Quale che siano le soluzioni che si pensano per il futuro, quel punto di analisi è largamente consensuale».
Ma il premier può comunque sfangarla. Ha «una chance», cambiare la sua agenda. «E la chance del governo - spiega Bertinotti - è di andare a un adeguamento programmatico che sia in grado di affrontare i grandi problemi dell’Italia, quelli che segnano la sua difficoltà. A partire da una questione che è sotto gli occhi di tutti. Come si fa a non vedere che quella salariale è la questione prioritaria del Paese? Poi naturalmente la risposta tocca al governo, alla maggioranza, alle forze politiche. Ma chi non è cieco vede che il problema è questo. Capisco bene che chi vive con mille euro al mese si senta dimenticato. Il salario misura il grado di civiltà del lavoro. Questi livelli, insieme al numero delle morti bianche segno di una cattiva innovazione, ci dicono che la nostra è troppo bassa».
E, al di là della durata di Prodi, «serve una stagione di riforme brevi che però deve essere fatta rapidissimamente, se non si vuole consumare una crisi grave, forse drammatica, delle istituzioni». Tre, conclude Bertinotti, le cose da cambiare urgentemente: il sistema elettorale, il bicameralismo perfetto «pensato per un’altra fase politica» e i regolamenti parlamentari.
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