Le immagini di Bill Clinton che ad Haiti scarica le cassette dellacqua come fosse un umile volontario, non sono andate giù a Guido Bertolaso. Per il direttore della Protezione civile Italiano, quelle riprese sono buone solo per le tv. Da un ex presidente degli Usa si aspettava ben altro. Invece, a fine missione, Bertolaso definisce la situazione dei soccorsi «patetica».
La critica senza attenuanti è indirizzata allintervento americano con troppe divise e pochi cervelli. Manca coordinamento e una mente pensante. Manca «un Obama che gestisca le emergenze». Sia chiaro. La generosità degli Usa è fuori discussione. Soltanto le star di Hollywood hanno raccolto 58 milioni di dollari in poche ore. E poi il cibo, tanto e stipato nei magazzini mentre ci sono ancora troppi disperati che non hanno ricevuto una sola razione di cibo. «La macchina dei soccorsi gira su se stessa. Cè tanto impegno, tanto lavoro, ma poi risultati concreti non se ne vedono». Il meccanismo degli aiuti è chiaramente inceppato. Se nè accorto Bertolaso, non se ne sono accorti gli americani. Il motivo di questa miopia? Ci sono troppe stellette. «Gli americani spiega Bertolaso - tendono a confondere lintervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento, utile per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati. È stato fatto uno sforzo impressionante, encomiabile, ma non cè una leadership». E Clinton? «Non è servito. Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito lemergenza in prima persona, invece se nè andato». Anche lui smanioso di apparire. «Si assiste a una fiera della vanità dice il capo della Protezione civile -. Si viene qua con lansia di far bella figura davanti alle telecamere, si sventolano le bandiere, ma non cè uno che dice lavorate e poi andate davanti alle telecamere e prendete la medaglietta».
Lamarezza delle sue parole offre un quadro dellimpotenza internazionale di fronte al dramma di un popolo poverissimo che non sollecita nessun interesse delle grandi potenze. Ma la situazione nellisola va comunque risolta rapidamente. Ci sono rischio di epidemie, di violenze e anche di sicurezza. «La popolazione è dignitosa, paziente, ne ha viste tante e riesce a sopportare. Ma è necessario fare». Bisogna allestire tendopoli, risolvere la crisi alimentare quella della sanità, altrimenti gli haitiani «potrebbero arrabbiarsi», avverte Bertolaso. Non cè più tempo da perdere. «Il materiale, aggiunge, ora cè. Ma non si riesce a trovare uno che cominci a dare gli ordini, che elimini la tendopoli spontanea davanti al palazzo presidenziale, nel centro della città. Le persone vanno trasferite in strutture attrezzate che qualcuno deve avere organizzato da unaltra parte, con i bagni, lacqua, le cucine». Insomma, servirebbe una «organizzazione Onu che presieda alle emergenze». Un incarico che a Bertolaso però starebbe stretto: «Io sono una persona abituata ad andare contro corrente, dentro le Nazioni Unite bisogna essere molto conformisti». E mentre si perde tempo con le parole, i numeri dicono che i cadaveri raccolti per le strade sono saliti a 150mila. Le Nazioni unite stimano a circa 609mila i senza tetto nella capitale e nei suoi dintorni. Fino a un milione di persone potrebbe lasciare le città distrutte del Paese per recarsi nelle zone rurali del Paese già poverissime. Già ora, circa 200mila dei due milioni di abitanti di Port-au-Prince ha abbandonato la capitale. E in questo fuggi fuggi, la macchina della solidarietà internazionale non si ferma.
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