Nostro inviato a Pechino
Il Grillo voleva fortissimamente il bis olimpico. Perché era ed è in forma strepitosa e perché «tutti quegli autografi firmati sulla Muraglia laltro giorno mi hanno fatto capire una volta di più che cosa vuol dire vincere una medaglia doro: vuol dire tutto e di più, non cè davvero mondiale che tenga, vieni ricordato soprattutto per i Giochi».
Invece, adesso, Paolo Bettini sa che cosa significa perdere un oro. Perché è sfuggito più a lui che a Rebellin, anche se poi dice e giura di non avere rimpianti: «In fondo ritengo di aver fatto tutto ciò che potevo». Eppure, poche ore prima, tagliando il traguardo, le sue braccia larghe e lespressione sconsolata parlavano più di mille parole e dicevano sorry, ho combinato un pasticcio, un pasticcio che mi rode dentro e che nulla può acquietare. Tanto meno il premio per la squadra medagliata. Anzi, suona quasi come un olimpico scherzo del destino scoprire che dopo tanti anni, parteciperà anche lui alla spartizione della cifra. Largento vale infatti 75mila euro, raddoppiati dalla federciclismo: per cui 150mila euro a cui, come consuetudine, il medagliato rinuncia e la squadra si spartisce. Ammettiamolo: non lo consoleranno
«Ho sbagliato a controllare tutto il tempo Valverde, ho subito il suo catenaccio e alla fine, standomi lui sempre a ruota, non sono riuscito a fare la mia corsa e sono finito nella sua trappola. Davide? Per quanto mi concerne, aveva carta bianca e sono felicissimo per lui: dopo tutto il lavoro che ha fatto per me ai mondiali di Salisburgo e Stoccarda, se lo merita davvero. Il problema vero è che sono io a non essere contento di come è andata la gara: ho marcato Valverde, ma forse avrei fatto meglio a seguire la mia gamba
e stava molto bene la mia gamba».
Quella che sul momento era parsa una critica alla strategia scelta da ct Ballerini, è stata chiarita a tarda sera, quando lo stesso commissario tecnico ha spiegato che Bettini si riferiva alloccasione persa stando incollato allo spagnolo. «Sì, lo so che la squadra azzurra è felice di questo argento, ma noi ciclisti non possiamo esserlo; o meglio: possiamo esserlo se largento era il massimo a cui potevamo aspirare. Visto però che alla vigilia, ma soprattutto poi in gara, ci eravamo accorti che loro lo potevamo davvero conquistare, allora, no, non puoi davvero essere felice».
Tanto più che al ciclismo azzurro di questi tempi, quello reduce dal Tour dei tormenti e del doping, serviva la medaglia più brillante, quella che luccicando avrebbe sgombrato il campo, almeno per un po, dai troppi dubbi su questo splendido sport: «Sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano sinfervora Bettini perché non è una questione di ciclismo in difficoltà o altro, è una questione, lho già detto, di controlli: facciamoli come si deve negli altri sport e poi parliamone Ehi, ragazzi, ma volete capirlo che sarebbe un problema sociale se tutti i dopati e i matti fossero solo da noi, suvvia ».