Purchè non si dica che il vincitore è il ciclista più forte del mondo. E soltanto il campione del mondo, cioè tutta unaltra cosa: il più veloce, spesso il più scaltro, qualche volta il più fortunato, di un giorno solo. Il fascino del Mondiale sta tutto qui, in questo suo assurdo paradosso, che magari ridicolizza il dominatore di unintera annata e premia un pisquano in giornata di grazia.
Eppure anche quella che si corre stanotte in Australia (arrivo tra le 7 e le 8 italiane di domattina) resta una corsa imperdibile. Contro il suo controsenso, il Mondiale è la gara più emozionante dellanno. Tutto in un giorno, tutti per una maglia. Anche qui, unaltra magnifica assurdità: i ciclisti la sognano sin da piccoli, la sognano tutto lanno, la sognano dal pronti via della fatidica giornata come fosse unarca perduta, ma in realtà chi la vince si infila in un sortilegio inspiegabile. Questa T-shirt è talmente magica e talmente pesante da riuscire spesso a schiacciare con il suo carico di significati linvidiato detentore. La storia propone tutta una serie di campioni felicissimi sul podio, ma poi infelicissimi per il resto dellannata. Con quella maglia addosso, può succedere di tutto. Lultimo valga come esempio generale: laustraliano Evans, che vinse con impresa nel 2009, in questa stagione ne ha dovute incassare di tutti i colori. Giro e Tour, i suoi obiettivi, mai finiti così male. Eppure niente: imperterrito, sarà di nuovo al via per cercare di vestirla una seconda volta. In un certo senso, il Mondiale è la corsa regina dei masochisti. Di sicuro, non è una corsa per superstiziosi.
In ogni caso, non è corsa per tutti: con la specializzazione dellultima epoca, i grandi protagonisti delle corse a tappe sono sempre tagliati fuori. Difatti, molti di loro non ci arrivano nemmeno più, vedi Contador (che casualmente ora ha anche altro per la testa). Quelli che ci arrivano, più che altro, lo fanno per orgoglio, passione, serietà. O anche solo per aiutare il compagno specialista. E il caso del nostro giovane puledro Vincenzo Nibali, freschissimo vincitore della Vuelta.
Quanto al percorso, altro tema fisso delle giornate mondiali, non merita lo spreco di molte parole. Per trita consuetudine, il percorso è durissimo undici mesi e ventinove giorni. Poi, in corso dopera, ci si accorge del contrario. Lo dimostra laltissima percentuale di arrivi in volata. Niente di più facile che sia così stavolta.
Piuttosto, ad ogni vigilia il Paese distratto si chiede se un italiano possa vincere il Mondiale. La domanda ricorre ovviamente anche oggi. La riposta è questa: sarà difficile, molto difficile. Al suo esordio, Bettini cittì non ha un vero Bettini in corsa, cioè il dominatore delle corse di un giorno, capace di esaltarsi nelle sette ore più importanti dellanno. Deve solo fare affidamento su un ex-compagno, quel Pozzato ormai giunto alletà matura con tantissime promesse al seguito e una sola Sanremo in cornice. Pozzato è fondista e pure veloce allo sprint, ma finora mai abbastanza per essere anche primo sui grandi traguardi. In un certo senso, questa è la prova della vita: per la prima volta corre da capitano unico, con tutti gli occhi addosso. Nostri e degli avversari (i peggiori: Gilbert, Freire, Cancellara, Sanchez, Evans, Kolobnev, Cavendish, Farrar). Tocca a lui svelare larcano che lo accompagna dalla più tenera età, e cioè se al talento corrisponda anche la personalità dei grandissimi. Al suo fianco, Bettini ha messo una squadra di amici fedelissimi, tanto che il paragone con la nazionale del suo corregionale Lippi si fa inevitabile. Ovviamente la speranza è che finisca un po diversamente. Per il momento, la vera diversità tra le due nazionali dei fedelissimi sta nel fatto che almeno Bettini non si lascia in Patria nessun Cassano e nessun Balotelli.
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