«Bettini mancherà al ciclismo. Non viceversa»

da Varese
«È l’ennesimo colpo alla Bettini: quando meno te lo aspetti, lui ti sorprende». Franco Ballerini, ct della nazionale, commenta così la notizia di Paolo Bettini. «Se sapevo qualcosa? Se mi aveva anticipato che stava maturando la decisione di smettere con il ciclismo pedalato? Sapevo che ci stava pensando da tempo, che era da qualche mese che si interrogava sul da farsi, poi ho saputo poco prima di voi della sua decisione. Ha parlato con me, con i dirigenti della Federazione e con i compagni di squadra. Cosa ne penso? Che è un grande e spero che oggi si congedi da questo sport da numero uno, come lui si merita. Paolo è un grande, e come tutti i grandi, lascia nel momento giusto, senza trascinare in giro per il mondo la bicicletta».
Quello di oggi è anche l’ultimo atto della premiata ditta Ballerini&Bettini, un connubio che in questi anni ha dato i suoi frutti. Un’intesa perfetta, fatta di dialoghi ma anche di intese appena accennate. «Tra noi bastava e basta uno sguardo, un colpo d’occhio, e ci si intende alla perfezione. È il bello della nostra intesa, perché nasce da una consapevolezza comune: il rispetto reciproco».
Sarà per via della vostra toscanità, sarà che vi siete conosciuti in sella ad una bicicletta ai tempi della Mapei, sarà che vi siete sempre piaciuti perché Franco, più grande di qualche anno, vedeva in questo piccolo corridore il talento che poi sarebbe venuto fuori.
«Paolo è sveglio, intelligente e sapevo che avrebbe fatto strada. Si vedeva, anche quando era la giovane spalla di Michele Bartoli, che stava studiando da grande, ma non avrei mai pensato che diventasse così forte. Io lo considero a tutti gli effetti il corridore da classiche più grande degli ultimi trent’anni».
Come lo definirebbe?
«Tosto. Come corridore e come uomo. Fisicamente è molto compatto, un condensato di agilità e potenza. Dalle mie parti si dice “chiozzo”. Ha gambe e glutei che producono potenza come pochi altri. Credetemi, Paolo è davvero un condensato di energia. E poi è scaltro. Dispone di un’intelligenza viva. È capace di creare in corsa alleanze inimmaginabili. La sua vera forza sta infatti nella testa. Di gambe è un campione, di testa è un vero fuoriclasse».
Non crede che questa notizia possa togliere quella giusta dose di cattiveria a Paolo e magari deconcentrare un po’ il resto della squadra?
«No, Paolo lo conosco benissimo, non bene. Anzi, il fatto che lui abbia annunciato che quella di oggi sarà la sua ultima rappresentazione, è la garanzia di una gara di assoluto livello. Darà tutto quello di cui dispone. E la squadra, farà altrettanto: oggi non è un giorno come gli altri. Non lo era prima, non lo sarà a maggior ragione adesso. Per noi questo sarebbe stato in ogni caso un mondiale di responsabilità. Ne abbiamo un po’ di più, ma la cosa non ci pesa. Anzi».
Ma secondo lei fa bene a ritirarsi a 34 anni?
«Paolo è stato chiaro: per correre bisogna avere stimoli. Il ciclismo è uno sport duro, che ti prosciuga, che ti logora come pochi altri. O disponi di grandi traguardi, di grandi obiettivi o è giusto dire basta e fermarsi. Paolo ha capito che è il momento giusto di dire stop. A me da una parte dispiace perché Paolo rappresenta per me momenti di grande gioia. Abbiamo ottenuto grandissimi risultati insieme, anche se uno dobbiamo ancora raggiungerlo questo pomeriggio. Però io lo capisco e condivido la sua scelta».


Crede possibile un suo ripensamento?
«Mai dire mai, ma conoscendo Paolo e gli interessi che ha, non credo che tornerà mai sui suoi passi. Lui ha una bella famiglia, la sua terra, il suo olio, i suoi aerei leggeri da pilotare, non si annoierà di certo. Credetemi, sarà lui a mancare al ciclismo, e non viceversa».

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