
Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, ha sparigliato le carte facendo di Caterina Barbieri la condottiera della Biennale Musica, al via l'11 ottobre (fino al 25). Trentacinquenne, di Bologna ma accasata a Berlino - dove l'avanguardia è pane quotidiano - è una presenza internazionale nella musica elettronica: compone ed esegue, ha dieci album all'attivo e rifiuta l'etichetta di "giovane", perché sente di essere nel mezzo del cammin di sua vita.
L'11 si parte. È alla sua prima direzione artistica. Nervosa?
"Direi un mix di emozioni: tanta gioia e una certa ansia. Dopo mesi di programmazione finalmente si ascolta la musica, la parte più intrigante. Ma quando il lavoro si materializza c'è sempre un po' di brivido".
Come è arrivata alla Biennale Musica?
"Pietrangelo Buttafuoco mi aveva cercata per un'intervista per la rivista La Biennale, ma ero in tour in Asia e ho un po' ignorato la cosa. Poi mi ha detto: Possiamo sentirci?. E al telefono, molto diretto, mi ha chiesto se fossi interessata alla direzione artistica".
Salto sulla sedia?
"Così è stato".
Sì al volo, oppure qualche notte di riflessione?
"Mi sono presa qualche giorno. Meditavo un anno sabbatico per dedicarmi solo alla composizione. Questa proposta ha rivoluzionato i piani, ma l'ho sentita come un'opportunità preziosa, una grande responsabilità e insieme un privilegio".
Il Festival debutta con un corteo di barchini. Di cosa si tratta esattamente?
"È una processione musicale di barchini per i canali di Venezia. Il corteo culminerà nell'Arsenale per il concerto di Los Thuthanaka, il duo composto da Chuquimamani-Condori e dal fratello Joshua Chuquimia Crampton".
I barchini sono l'anti-gondola: veloci e dinamici. Un messaggio?
"Sono tipici dei ragazzi veneziani, spesso con impianti audio personalizzati. Ho scoperto questo mondo grazie al film Atlantide di Yuri Ancarani. Ho voluto intrecciarlo con la musica contemporanea: l'artista boliviana Elysia Crampton Chuquimia Mamani (Leone d'Argento) ha composto per loro. I barchini diffonderanno i suoi suoni muovendosi fino al bacino dell'Arsenale, in una sorta di coreografia musicale d'acqua".
Un sincretismo culturale che sembra un filo conduttore.
"Esatto. Mi interessa andare oltre uno sguardo eurocentrico, invitando artisti da contesti lontani".
Un altro esempio?
"L'ensemble bolognese FontanaMIX proporrà Giacinto Scelsi accanto a nuove composizioni dell'iraniano Idin Samimi Mofakham, legate a un'idea meditativa del suono. Passato e presente che dialogano".
In tre battute, qual è l'essenza della Biennale Musica?
"Un santuario per la libertà di espressione e la sperimentazione. L'avanguardia è la vocazione di tutti i dipartimenti della Biennale, e la musica non fa eccezione".
C'è continuità o rottura rispetto alla precedente direzione di Lucia Ronchetti?
"Vedo il mio lavoro in continuità con chi mi ha preceduto. Ronchetti ha aperto molto anche alla musica elettronica iniziando un percorso che ora approfondisco. Non una rottura ma un'evoluzione coerente con il dna della Biennale".
Ha detto che vuole restituire agli incontri musicali il valore di rito collettivo. Oggi il concerto classico lo conserva ancora?
"In gran parte si è perso. Spesso si assiste in modo passivo, si gode della bellezza della musica, ma non in una dimensione partecipativa. Si è smarrita l'idea della musica come esperienza viva capace di trasformare la collettività, parte della vita quotidiana con una funzione sociale. Eppure la musica ha radici rituali sociali e trasformative".
In che senso trasformative?
"Può ancora creare comunità. È un ottimo esercizio di ascolto ed aiuta a coltivare l'empatia: qualità di cui abbiamo davvero bisogno in un momento così difficile".
Quali festival coltivano questa dimensione?
"Ricordo a Berlino The Long Now: 48 ore di musica in una ex centrale elettrica, con riverberi infiniti, dove si poteva dormire, camminare, vivere la musica".