
Le orbite rossastre di un bimbo soldato che ha già visto troppo, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero, l'ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito, la paura dipinta sul volto dei civili in fuga dalle bombe sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage in prima linea. Ma gli occhi della guerra sono anche i giornalisti, fatalmente attratti da conflitti esotici, dimenticati o alle porte di case. Non sanno starne lontani, perché reportage e guerre non sono solo un mestiere, ma sono anche al centro della vita e della passione.
Dopo 40 anni di conflitti, Fausto Biloslavo e Gian Micalessin hanno colto con entusiasmo l'invito di Paolo Valerio di portare al Politeama Rossetti di Trieste dal 2 al 3 maggio Gli occhi della guerra - in una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia - la vita, la morte, la paura, l'adrenalina, il dolore, la speranza, le emozioni di una vita in prima linea. I vostri Occhi della guerra sono due figli di Trieste, che negli anni Ottanta hanno inventato assieme ad Almerigo Grilz un'agenzia di free lance, l'Albatross press agency, con il sogno di girare il mondo in cerca dell'avventura e l'obiettivo di raccontare il lato oscuro dell'umanità, le guerre.
L'avventura è iniziata da Trieste, città di confine, dall'Afghanistan quando era invaso dall'Armata Rossa e Vasco Rossi arrivava penultimo a Sanremo con una canzone che è diventato il loro motto: «Vita spericolata», una vita come nei film. Sul palcoscenico del Rossetti Biloslavo e Micalessin ci porteranno nel cuore dei conflitti di ieri e di oggi. Filmati e fotografie ci faranno vivere l'orrore della guerra, dove non ci sono solo i momenti terribili della battaglia, ma anche l'umanità che emerge, come un papà che rischia la vita per andare a cercare il latte per il figlio neonato.
Dalla guerra nella giungla del Sud Est asiatico, all'Africa rosso sangue i due reporter ci faranno provare le loro stesse emozioni immersi in una realtà che spesso supera il romanzo.E dietro le quinte dei grandi reportage parleranno anche di sé, dei loro sentimenti, della paura di non tornare a casa, dell'apprensione dei loro cari sempre alle prese con un'invisibile prima linea a distanza.
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