Bimbi di Basiglio, il tribunale assolve se stesso

MilanoErano già tornati a casa, in primavera. Ma formalmente erano ancora affidati al Comune di Basiglio. Ieri il Tribunale dei minori di Milano ha fatto marcia indietro. Il caso è chiuso, i fratelli rientrano definitivamente in famiglia. Ricordate? La storia di G. e A. era andata sui giornali con grande risalto. Lei, una bambina di 9 anni, era stata ritenuta l’autrice di alcuni disegni erotici. In uno, ad esempio, si vedeva una ragazzina a cavalcioni di un bimbo e sotto una scritta eloquente: «G. fa sesso con suo fratello per 10 euro. A lei piace». La scuola aveva segnalato quegli scarabocchi, la magistratura era intervenuta, come spesso in questi casi, a gamba tesa, togliendo i ragazzi ai genitori, cui mai nessuno aveva mosso un solo addebito.
Ora, appunto, la conclusione. Non era vero nulla di nulla. E anche lo psicologo ha escluso assolutamente rapporti sessuali fra il fratello, più grandicello, e la sorella. Bene. E che dice il Tribunale? Semplice. Se la prende con la scuola che non avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo: «Quel che è sicuramente emerso è la gravità delle reticenze nella segnalazione iniziale da parte della scuola (tempi della rivelazione, conoscenza da parte di diversi soggetti dei disegni e delle diverse rivendicazioni, scarsa empatia nei rapporti con la minore che si sentiva discriminata) che hanno indotto a cascata i diversi operatori (i servizi, il Tribunale, il Pm minorile) a valutazioni errate».
Chiaro? L’inchiesta è servita alla magistratura per assolvere se stessa. La colpa è degli insegnanti che poi sono quelli che avevano osservato quei fogli colorati, si erano preoccupati e avevano dato l’allarme. Ma, a quanto pare, l’avevano fatto tardi e male. Un’altra inchiesta, tuttora in corso, stabilirà eventuali responsabilità dei docenti.
E i giudici? Ricapitoliamo. Ci hanno messo un mese buono per decidere la perizia grafologica; poi c’è voluto un altro mese prima che l’esperto comparasse la mano di G. con quella che aveva riempito quei fogli. A quel punto, solo a quel punto, si è capito che quelle oscenità non potevano essere opera di G. La bambina del resto l’aveva detto quasi subito: «Il disegno non è mio, l’ha fatto una mia compagna per farmi dispetto». Ma chi? Non si è capito.
Ci penserà la Procura. Si è capito ben poco in questa vicenda, a parte la gravità dell’errore. Ma il Tribunale si assolve per la seconda volta: «Inevitabili, si ritiene, a fronte delle apparenti certezze iniziali, i tempi necessari per avere appena possibile, il rientro dei minori». Davvero? Due mesi per fare chiarezza su un quadernino? E per smontare una storia senza fondamenta? Certo, G. in un primo momento avrebbe detto di essere l’autrice degli scarabocchi, ma anche questo non si è capito bene: «Rimane al momento come dato non superabile (nel senso che c’è la parola dell’insegnante contro la parola della minore) l’iniziale ammissione della minore di aver realizzato il disegno». Almeno uno. Nebbia da tutte le parti quindi, ma il nocciolo della storia non c’è: G. non c’entra. E però padre, madre e figli sono stati divisi da marzo a maggio.
E perché? La verità emersa è delle più banali: G. si è trovata «all’interno di un racconto di collettivo con le compagne di classe» e «ha forse sentito il bisogno di sentirsi finalmente protagonista vantandosi di una condotta in realtà mai realizzata».

E allora? Il tribunale punta ancora il dito contro la scuola: «Un corretto inquadramento della vicenda avrebbe consentito decisioni e valutazioni decisamente più rispondenti ai bisogni della minore e interventi meno invasivi». Non è andata così. Ma per i giudici va bene così: «Si ritiene che si sia riusciti a limitare le conseguenze dannose dell’intervento disponendo non appena possibile il rientro dei minori in famiglia».

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