La crema per il viso veramente «bio», autenticamente «natural», genuinamente «eco» è la più temuta da ogni marito: parliamo della maschera di «bellezza» fai-da-te al pesto che trasforma la donna in un mostro dalla faccia verde, tipo moglie dellincredibile Hulk. Ma, a proposito di cose «incredibili», faremmo bene ad analizzare in dettaglio le etichette dei cosmetici dal presunto cuore «ambientalista».
Il numero in edicola di Altroconsumo dedica allargomento una documentata inchiesta da leggere attentamente prima di acquistare il prossimo shampoo dal packaging grondante fiori, frutti e piante. Si tratta di confezioni che fanno perno sul desiderio inconscio di ritorno alle origini, a un Eden dove incontaminato e senza smog. Ecco la «sindrome di Adamo ed Eva» che ci spinge a comprare (spesso pagandoli più del dovuto) spray «anti effetto-serra» e vasetti che di «naturale», «bio» ed «eco» non hanno davvero nulla. Nella maggior parte dei casi, infatti, i cosiddetti «cosmetici verdi» affondano le radici in un terreno concimato sì, ma con il trucco.
«I cosmetici naturali e bio - spiegano gli esperti di Altroconsumo che hanno eseguito i raffronti - stanno conquistando fette di mercato sempre maggiori grazie agli allarmi frequenti sui componenti di sintesi. Laurea di sicurezza e qualità che li circonda non è giustificata. Non essendoci una legge che definisca le caratteristiche che deve avere un prodotto per potersi definire naturale, i produttori se ne approfittano e sul mercato ci sono tanti slogan ingannevoli. A scapito anche dei produttori onesti».
Cliccando in rete lespressione «business dei finti prodotti bio», si scopre che il dibattito sul tema offre parecchi spunti di analisi. Ad esempio lAssoerbe punta sulla necessità di una legge che regolamenti il settore: «È di moda il bio, ma non solo nellalimentazione. Cè chi scegli anche detersivi definiti ecologici e chi preferisce cosmetici verdi. Ma attenzione non basta riportare sulla scatola la dicitura bio o naturale per esserlo veramente».
Fatto sta che - mai come oggi - le aziende cosmetiche pianificano le nuove strategie di marketing puntando su parole come «naturale» o «biologico»; pubblicità che riempiono giornali e tv con la conseguenza che la maggior parte degli italiani crede di acquistare cosmetici «ecologici», ma in realtà compra prodotti normalissimi. Manca, infatti, una legislazione specifica e che detti le regole da seguire e le materie prime da usare per poter definire un prodotto «bio». «Il nostro obiettivo - precisa la Società italiana delle scienze e delle tecniche erboristiche (Siste) - è di arrivare ad un marchio europeo, o almeno a uno standard di qualità unanimamente condiviso in tutti i Paesi Ue».
In Inghilterra, in Germania e in Francia esistono già regole specifiche, la legge italiana sui cosmetici è invece generale e non entra nel merito dei prodotti bio. Anche il settore erboristico attende una legge che tuteli il più possibile i consumatori.
Al Consorzio per il controllo dei prodotti biologici hanno le idee chiare: «Nei cosmetici biologici i prodotti naturali o di origine naturale devono costituire almeno il 95% in peso del totale ingredienti (acqua inclusa). È ammesso un 5% massimo di additivi sintetici. È poi prevista la distinzione tra cosmetico biologico (almeno il 95% in peso di prodotti biologici) e cosmetico con ingredienti biologici (almeno il 70% in peso di prodotti biologici). Tra gli altri obblighi ci dovrebbe essere quello di elencare ed evidenziare in etichetta gli ingredienti bio, di non usare Ogm e radiazioni ionizzanti e di stoccare i prodotti in locali sterilizzati».
A differenza di quanto avviene per lalimentazione (dove cè solo una certificazione bio) per i cosmetici ci sono diversi enti, ognuno con le proprie regole sulla percentuale minima di ingredienti naturali e anche sulla loro produzione e lavorazione.
E così, orientarsi nella babele dei loghi, rimane limpresa meno naturale di tutte.
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