Bio, una moda sana. Ma non per tutti

Siamo la regione con il più alto consumo di prodotti biologici. Oltre 2700 le aziende bio presenti sul territorio, che equivalgono a una superficie agricola pari all’incirca a 70mila ettari. Ovvero il 10 per cento del totale delle aree di coltura del Lazio. Sono invece più di 130 i negozi specializzati in questo senso nella Capitale. Per un giro d’affari che ruoterebbe intorno ai 130 milioni di euro. Così quello che in principio era un mercato di nicchia ha assunto altre proporzioni. Segno che il biologico si è definitivamente insediato nelle abitudini nutrizionali: «Rispetto a qualche anno fa la clientela si è allargata considerevolmente - spiega Marina Monaco, socia fondatrice del Canestro -: se prima la domanda era costituita in gran parte da intellettuali radical chic e da chi soffriva d’intolleranze alimentari, oggi è formata anche da altre tipologie di consumatore».
Il Canestro è stato uno dei primi negozi biologici della città. «Abbiamo aperto nel 1983, a Testaccio, patria della coda alla vaccinara, suscitando un discreto stupore fra i residenti del quartiere», racconta Marina Monaco. All’epoca, del biologico non si sapeva ancora nulla e al riguardo si ravvisava una certa diffidenza. «Tra i fattori che hanno contribuito all’affermarsi di questa nuova realtà - prosegue - figurano senz’altro scandali quali Chernobyl e la mucca pazza». Lo scenario da allora è mutato notevolmente come dimostra, per esempio, il fatto che si sia abbassata l’età media dei bio-consumatori. Gianluca lavora in un punto vendita NaturaSì sulla Trionfale e in base alla propria esperienza afferma che fra i giovani sono in netto aumento gli amanti del biologico. «Una tendenza che fa leva - dice - su una diversa cultura dell’ambiente». Gianluca crede davvero in quello che fa. La sua, insiste, è una sorta di missione. «Se uno decide d’imbarcarsi in un’attività di questo genere significa che è fedele a certi ideali e che, a prescindere dai guadagni, vuole promuovere un preciso stile di vita legato ai prodotti biologici».
Alla loro diffusione non giova però l’aspetto economico. Nei negozi biologici la merce è più cara: un chilo di peperoni rossi può costare anche il doppio che dal fruttivendolo, idem per i carciofi romaneschi, mentre gli spinaci vengono fino a tre volte tanto. Giusto per fare alcuni esempi. «La questione dei prezzi - precisa Gianluca - è in parte riconducibile alle lacune della distribuzione dei prodotti biologici». Lacune che, a suo avviso, la piattaforma Bio inaugurata a settembre al Car di Guidonia non è in grado di colmare da sola. «Limitarsi a confrontare i costi è fuorviante - si difende Marina Monaco - per valutare l’effettiva convenienza bisogna analizzare il rapporto qualità prezzo». Oggi il biologico rappresenta, come detto, uno stile di vita. Una scelta in difesa dell’ambiente.

Che fa bene anche alla salute. «Siamo quello che mangiamo», fanno il verso alla tradizione i suoi sostenitori. Forse non tutti però possono permettersi di essere come vorrebbero: in fondo mangiamo quello che siamo in grado comprare.

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