Rosy Bindi questa volta passa: niente spogliarello. Benigni ci sperava: «Celentano ha parlato male di Berlusconi e Mastella e ora ha me tocca parlarne bene. Lui ha invitato Laura Chiatti e io ora dovrò invitare Rosy Bindi. Farà uno spogliarello». Peccato. Il ministro ha fatto sapere che si sta allenando, ma ancora non è pronta. Pazienza. Nel mondo di Benigni ci stava bene. La camicia bianca sotto la giacca scura, come un professore di paese, che tutto ciò che tocca rende leggero. LItalia è il teatro di una serie di personaggi che fanno una comparsata oltre il sipario e poi vanno via, una sfilata di caratteri e maschere, di tipi umani con debolezze e virtù. Ci sono re senza corone e senza denari, capri espiatori vestiti da guardasigilli, politici bianchi e neri, guelfi e ghibellini, di questa e dellaltra stagione. Berlusconi «che vuole il sistema elettorale vaticano, si elegge uno, e poi finché campa campa». Prodi «che prima andava a messa una volta a settimana, ma ora ha fatto mettere una cappella a Palazzo Chigi dove prega per la buona salute dei senatori a vita». Tremaglia «che in An non lo salutano più da quando gli italiani hanno votato a sinistra».
È furbo Benigni. Sa usare il bipolarismo imperfetto. A sinistra prende in giro, a destra massacra. A DAlema un buffetto, a Calderoli un menù da fenomeno da baraccone, da leghista subnormale. La scoperta dellamore universale, della pietà cristiana, del misticismo medievale, non cancella le vecchie antipatie. La politica di Benigni è nascosta in Dante, uomo di parte e di guerra civile.
Benigni, invecchiando, si è sublimato. Non cè quasi più nulla dellantico attore comico, se non una traccia del vecchio canovaccio. La politica non lo diverte più. È disincanto. È una parodia a cui non credere, ma di cui parlare con quattro amici senza prendersi troppo sul serio e magari con il cazzeggio toscano che serve a strappare una manciata di applausi e qualche sorriso. Non è antipolitica, non lo è mai stata. È indifferenza. È la vecchiaia di unItalia che non spera più, ma che accetta tutto: leuro e i salari bassi, la rivolta dei tassisti, gli scioperi stagionali dei tram, bus, treni e metropolitane, gli ingorghi, limmobilismo, il gioco delloca di un Paese che fa un passo avanti e quattro indietro. È lItalia anestetizzata da Prodi, dove lunica via di fuga è tuffarsi in Dante, erba magica che cancella tutti i mali. E lossessione per Paolo e Francesca o per le anime dei lussuriosi diventa quasi una malattia. È il vecchio saggio di paese, il folle, il cantastorie da osteria che a tutti i passanti, oste o ubriachi, muratori che staccano alle cinque e perdigiorno, canta la bellezza catartica del versi della Commedia. E tutti allinizio ascoltano, incantati. Poi qualcuno dice: «Ancora?». Qualcun altro sbuffa. Altri lasciano il locale. Basta, basta. Dante ha rotto. E il vecchio cantastorie, con le sue parafrasi e i suoi esercizi di memoria, diventa una nota di colore, il personaggio strambo che diverte i ragazzini. Ma per fortuna, o dannazione, Benigni non si stanca mai di raccontare le vite di Semiramide o di Enea, di armi e cavalieri. È la sua ultima vocazione e forse è definitiva.
Il sogno di Benigni è redimere gli italiani. È vocazione pedagogica. È la poesia che riscatta le brutture del mondo. È leterna salvezza del ritorno ai classici. È lamore per unItalia lontana e perduta.
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