Bipolarismo, stella polare della politica

Sandro Bondi*

Tre illustri commentatori, di diverso orientamento politico e culturale, hanno espresso un'opinione interessante e convergente sulla questione del centro sollevata fra gli altri da un articolo di Mario Monti. Tutti e tre, Umberto Ranieri, Salvatore Carrubba e Piero Ostellino, concordano sul fatto che il dibattito sul grande centro avrebbe dovuto essere arricchito di contenuti, e in particolare dei contenuti di un programma innovatore.
Piero Ostellino ha osservato giustamente che il problema non è quello di rafforzare i due centri, bensì di «rafforzare la componente riformista all'interno di entrambi gli schieramenti, che riduca il potere di coalizione e di veto di conservatori e radicali». Il centro della rappresentanza politica - ha obiettato Ostellino - è stato il luogo dove gli interessi organizzati hanno manifestato ed esercitato, in passato, la massima pressione per evitare cambiamenti che ne mettessero in discussione rendite di posizione, privilegi e potere. È nella palude centrista, infatti, che, secondo Ostellino, sono affondati tutti i tentativi riformistici, da Craxi, prima di diventare ostaggio della Dc, a Berlusconi nel '94, al D'Alema della Bicamerale.
La via d'uscita da un dibattito astratto e fuorviante sul «grande centro» è quindi quella di entrare nel merito dei contenuti riformistici.
È la stessa conclusione a cui giunge Salvatore Carrubba, il quale biasima i tentativi mascherati di mettere in discussione il bipolarismo e di alimentare nuove logiche trasformistiche, ma individua al tempo stesso nella concorrenza l'arma decisiva della trasformazione. La libertà economica e la concorrenza implicano il coraggio di contrastare gli interessi organizzati per favorire gli interessi generali dei risparmiatori e dei nuovi imprenditori. Secondo l'analisi di Carrubba, perciò, un centro liberale e riformista è quello che accetta di sfidare gli interessi organizzati e di assegnare alla libertà economica il compito di generare lo sviluppo e la prosperità.
Il «centro» dunque non è un valore in sé, ma un'opzione che va riempita dei giusti contenuti a seconda del momento storico in cui i partiti operano. All'Italia di oggi non serve un centro-palude, un «hortus conclusus» in cui finirebbero per stagnare le pulsioni e le istanze della società, ma un confronto aperto e netto tra due offerte politiche alternative, auspicabilmente non radicali, che si contrappongano e siano entrambe in grado di alternarsi al governo senza per questo provocare pericolose discontinuità di sistema.
La preoccupazione centrista è stata resa possibile dal cattivo funzionamento del bipolarismo all'italiana, che resta un bipolarismo imperfetto come quello che fu sperimentato negli anni della Guerra fredda, nonostante ora siano crollati i muri ideologici e non ci siano più i forti condizionamenti del quadro internazionale di allora. Questo soprattutto a causa delle ambiguità e dei ritardi storici del centrosinistra. Una classe politica responsabile dovrebbe porsi ora, tutta insieme, il problema di riaffermare il bipolarismo come valore, e di rafforzarlo per completare l'accidentato percorso verso la democrazia governante, e questo è un compito che spetta soprattutto ai due partiti maggiori, Forza Italia e Ds, che rappresentano gli assi portanti della maggioranza e dell'opposizione.
In tutte le democrazie moderne, il partito di maggioranza esprime il capo del governo, mentre il partito leader dell'opposizione si prepara a governare designando il candidato premier, in un clima di reciproca legittimazione. È questa la via maestra per offrire agli elettori politiche pragmatiche che sappiano attenuare le spinte radicali presenti in entrambi gli schieramenti e costituire quindi un reale punto d'equilibrio tra gli interessi delle coalizioni e quelli del Paese.
Se i grandi partiti abdicano a questo ruolo essenziale, si alimentano le velleità degli opposti radicalismi e si aprono di conseguenza le porte all'agitazionismo centrista che, sia pure ispirato ai più nobili propositi, finisce per confondere le acque e per rimettere in discussione il bipolarismo, che resta invece la stella polare della politica, un approdo che non va rimesso in discussione.
Vi è chi a sinistra è consapevole di questa necessità. Umberto Ranieri, ad esempio, ha avuto il coraggio di ammettere che il dibattito sul centro affonda le sue radici nell'insufficiente tenuta del centrosinistra come coalizione in grado di decidere e governare. L'illustre esponente della corrente riformista dei Ds, conclude che la sinistra debba tornare a battere la direzione di marcia dell'innovazione liberale, dopo l'illusione che si potesse riproporre lo spazio di una sinistra tradizionale.


Come si vede il dibattito sul cosiddetto centro non è affatto inutile e può condurre a conclusioni totalmente diverse da quelle che ci si potrebbe attendere.
* Coordinatore nazionale di Forza Italia

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