Cronache

"Black Angels": sognando la nazionale gay

Simone, Fabio, Stefano, Paolo, Riccardo, Paolo, Daniele, Gianluca, Giuseppe. Sono i Black Angels, squadra di calcio con una peculiarità unica: essere composta da giocatori gay. Niente lustrini, né paillettes; nessuna ostentazione, perché non ce n’è bisogno, «se qualcuno ce lo chiede, rispondiamo serenamente; altrimenti non c’è motivo di dire apposta, quasi a volerlo sottolineare: io sono gay». Semplicemente un gruppo di ragazzi che ha accettato il proprio status e che, accomunato dalla passione per il calcio, ha fatto diventare il pallone un motivo di integrazione.

L’intuizione di formare la squadra è stata di Simone. Correva l’anno 2003 e a Monaco erano in programma gli Eurogames, una sorta di Olimpiade gay aperta però anche a compagini etero. Perché non partecipare? Perché non creare una squadra come quella di Milano dove un certo Klaus Heusslein, venuto dalla Germania (dove tutte le principali città hanno almeno due squadre di calcio formate da giocatori gay) ha riorganizzato i «cugini» della Nuova Kaos? Purtroppo gli undici giocatori saltano fuori solo quando le iscrizioni agli Eurogames sono già chiuse: la squadra viene messa in lista di attesa.

Passa qualche giorno e arriva la chiamata: la riserva è sciolta, si può andare agli Eurogames. Tuttavia, nel frattempo, alcuni degli undici hanno dato forfeit. Ecco, dunque, il lampo di genio: perché non aggregarsi agli amici della Nuova Kaos, magari con qualche rinforzo etero? Detto, fatto: il biglietto per Monaco può essere staccato. Tornati a Roma, la strada è in discesa. Salta fuori anche uno sponsor, che consente di acquistare le divise, nere a strisce bianche: nascono ufficialmente i Black Angels.

Il presente è fatto di partitelle contro squadre formate da amici o colleghi di lavoro, tutti rigorosamente etero. Oltre alla partecipazione a tornei organizzati nell’ambito di feste e sagre. Purtroppo, infatti, ancora non ci sono i presupposti per un campionato vero e proprio: «Tutti noi lavoriamo e, anche quando ci troviamo per gli allenamenti al martedì e al giovedì all’Eur o in una struttura polisportiva sulla Cristoforo Colombo, riusciamo a giocare a calcetto a 5 o, al massimo, a 7; quasi mai a 11 contro 11». E poi «sono cambiate molte cose, ma per tanti esiste ancora il problema di fare outing». Ma c’è pure una questione economica perché, nonostante lo sponsor, «ci dobbiamo autofinanziare l’affitto dei campi di allenamento e le trasferte».

Il futuro? Numeri e denaro permettendo, la partecipazione a una serie di tornei in Europa di calcio a 7. Il futuro, però, è fatto anche di sogni: magari una Nazionale Gay che possa organizzare o partecipare a eventi di beneficenza. E pure, perché no, una «sfida» contro una compagine del Vaticano. Tranquilli: nessuna provocazione.

Si tratterebbe solo di un’amichevole.

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