Blitz contro la mafia cinese Sequestrate 73 aziende Giro di riciclaggio da 3 miliardi

Il governo l’aveva promesso nei giorni scorsi: lotta alla mafia gialla. Ieri la Guardia di finanza ha arrestato 17 cinesi e sette italiani per associazione di stampo mafioso dedita al riciclaggio di denaro - pari a 2,7 miliardi di euro - proveniente da evasione fiscale, contraffazione, sfruttamento della prostituzione e ricettazione, frode in commercio. Ventidue persone sono finite in manette, 2 ai domiciliari, mentre altre 134 risultano indagate a piede libero. Sono state sequestrate inoltre 73 aziende, 181 immobili, 300 conti correnti e 166 auto di lusso. Mille finanzieri hanno eseguito gli arresti, le perquisizioni e i sequestri in Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Campania e Sicilia. Secondo gli inquirenti, l’associazione composta da italiani e cinesi riciclava il denaro tramite una rete di agenzie di money transfer. Sono oltre 100 le aziende coinvolte, tutte riconducibili a cinesi residenti tra Prato e Firenze. Altro canale per riciclare il denaro verso la Cina è risultato essere San Marino, tramite una finanziaria con sede centrale nel piccolo Stato e filiali in Italia ed Europa. Secondo la Gdf, dal 2006 a oggi sono stati riciclati oltre 2,7 miliardi di euro.
Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso rilancia l’allarme, ed è un allarme finora rimasto forse inascoltato.
«La potenza economica e commerciale della Cina è un fenomeno geopolitico che influenzerà la criminalità organizzata nei prossimi anni che porterà le organizzazioni criminali a favorire i canali cinesi per le attività illecite», spiega Grasso.
Grasso ha sottolineato anche che, pur avendo rafforzato gli strumenti legislativi per il money transfer, le intercettazioni telefoniche e ambientali rimangono uno strumento valido e necessario per combattere a pieno questo tipo di criminalità organizzata.
Le indagini erano iniziate nel 2008, quando le Fiamme gialle di Firenze avevano individuato un sodalizio criminale composto da una famiglia cinese e una famiglia bolognese attraverso un’agenzia di money transfer con filiali in tutta Italia.
«L’attività illecita si è sviluppata con le caratteristiche mafiose», puntualizzano gli investigatori, aggiungendo che la struttura verticistica, che faceva capo alla famiglia cinese, controllava, con forme di intimidazioni psicologiche e a volte violente, le attività illecite della comunità».
La principale attività illegale delle aziende cinesi in Italia consisteva nella produzione di merce contraffatta, principalmente capi e accessori di pelletteria. E poi nessuno pagava le tasse.


Durante le indagini è emerso inoltre che nelle operazioni di riciclaggio erano coinvolti anche importatori di prodotti contraffatti, mentre dalla Cina arrivavano clandestini da impiegare in «case chiuse camuffate da centri estetici e massaggi orientali» o in laboratori dove «lavoravano in nero in condizioni disumane».

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