Gian Micalessin
Vedere, capire, valutare. Sono i tre obbiettivi del segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfeld sbarcato a sorpresa allaeroporto di Bagdad e accolto dal generale George Casey comandante delle truppe americane in Irak. Sullo sfondo del viaggio a sorpresa - poche ore dopo quello simile del premier inglese Tony Blair - cè la grande decisione. La programmazione di un possibile, progressivo ritiro dal teatro iracheno. Quella programmazione va ben al di là delle rotazioni di routine, già studiate dal Pentagono per il dopo elezioni irachene. Il prossimo mese due unità che avrebbero permesso di mantenere il livello di 160mila soldati non verranno probabilmente dispiegate.
Ma una cosa è far ridiscendere a quota 138mila il personale, riportandolo ai livelli pre-elettorali. Unaltra cosa è programmare un taglio sostanziale. Donald Rumsfeld per ora non affronta neppure largomento. «Questa decisione non è stata semplicemente annunciata», tira dritto il segretario alla Difesa quando qualcuno gli pone la fatidica domanda sul possibile rientro di una parte dei soldati americani. Risposta vera, ma non del tutto sincera. Anche se non annunciato, programmato o deciso, il parziale ritiro delle truppe è allordine del giorno in tutti i vertici dellAmministrazione statunitense. Il problema è come realizzarlo senza abbandonare a se stessi lesercito e il governo del nuovo Irak.
Gli scogli da superare sono almeno due. Da una parte la lentezza con cui le forze di sicurezza addestrate dagli Stati Uniti si avvicinano a standard di efficienza sufficienti a fronteggiare insorti e terroristi. Dallaltra lancora approssimativa democratizzazione delle istituzioni irachene. «Il momento attuale è molto importante perché nelle prossime settimane o mesi prenderà forma un governo destinato a durare per quattro anni», fa notare il segretario alla Difesa sottolineando la necessità di attendere prima di parlare di vera democrazia. «Le personalità irachene coinvolte sono relativamente nuove a queste cose e avranno bisogno di ancora un po di tempo», precisa Rumsfeld. Subito dopo Rumsfeld affronta il tema della lotta a guerriglia e terroristi. «La sconfitta di chi soppone al governo richiede ancora tempo», ammette il capo del Pentagono.
Mentre Rumsfeld valuta gli scenari politici e militari iracheni, il prigioniero Saddam Hussein continua a cercar di rubar la ribalta ai giudici. Ieri, nella settima udienza di questanno lultima prima di una ripresa fissata appena per il prossimo 24 gennaio - il deposto dittatore ha finalmente fatto intendere quale sarà la sua strategia difensiva. Dopo aver accusato gli americani di averlo torturato, lex rais ha replicato a tutte le smentite dispiegando una strategia rivolta a conquistare il favore delle grandi masse irachene e arabe. «La Casa Bianca e gli americani sono dei bugiardi - strilla il grande accusato - hanno già detto che avevo le armi chimiche ed era tutto falso».
La strategia punta chiaramente a distogliere lattenzione dalle drammatiche testimonianze rese in aula dai sopravvissuti ai massacri messi a segno 24 anni fa nel villaggio sciita di Dujail dopo il fallito attentato contro Saddam. Ricordando il mancato ritrovamento delle armi chimiche Saddam rimette in dubbio la credibilità degli Stati Uniti e, di conseguenza, dei testimoni daccusa. Tra un intervento e laltro Saddam non rinuncia a presentarsi come lunica personalità capace di guidare le masse irachene.
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