Il Blue Note compie tre anni Domani sera la grande festa

Da Chick Corea a Branford Marsalis, da Lee Konitz a Gato Barbieri tutti i big sono passati per il club Premiato Fayenz, critico del Giornale

Antonio Lodetti

Tre anni fa, proprio il 19 marzo, l’inizio della grande sfida. Nel quartiere Isola - dove un tempo regnava la «ligera» e oggi pullulano i locali di tendenza - apriva il Blue Note (il primo in Europa) fratello minore del celebre club newyorchese.
Partì alla grande, con il nobile pianoforte di Chick Corea (sei serate, due concerti per sera, uno alle 21, l’altro alle 23.30 com’è tradizione del locale) e snocciolò subito un elenco di straordinarie star - da un altro mago della tastiera come McCoy Tyner a Branford Marsalis, da Lee Konitz a Gato Barbieri - mandando in sollucchero i fan milanesi.
Dopo tre anni il Blue Note fa ancora e sempre da traino al jazz milanese (i tanti spazi piccoli e grandi che dedicano alla musica afroamericana alcune sere alla settimana) con i suoi trecento concerti all’anno (break al lunedì e qualche volta alla domenica) ed è diventato l’erede diretto del glorioso Capolinea.
Certo qui c’è più eleganza, la cena e l’ambiente sono raffinati (tanto che spesso capita che qualcuno si disinteressi completamente del buon jazz per buttarsi sul cibo e sui vini) rispetto al rustico Capolinea dei tempi d’oro, ma il cartellone è imbattibile: basti pensare che fino a ieri sera era di scena Joe Zawinul, questa settimana tocca al pianista Chucho Valdes e presto arriverà Al DiMeola per citare solo alcuni nomi.
Domani sera il Blue Note si autocelebra e festeggia il suo certo compleanno con una serata a inviti e l’esibizione di Felice Clemente ed Emanuele Cisi. Evento nell’evento, il club premierà il critico del Giornale Franco Fayenz «per avere contribuito in modo significativo alla diffusione della cultura del jazz».
«Sono stati tre anni ricchi di soddisfazioni ma anche di apprensioni - racconta Paolo Colucci, avvocato d’affari napoletano (ma milanese d’adozione) fondatore e superboss del locale - perché il nostro è stato un esperimento unico in una piazza come Milano. Ormai siamo un punto di riferimento per gli appassionati ma io non mi fermo sugli allori, bisogna sempre inventare qualcosa di nuovo».
Ad esempio?
«Gli sconti per i giovanissimi e quelli per i pensionati che abbiamo introdotto da poco, bisogna incentivare il pubblico».
Quali sono state le maggiori soddisfazioni?
«Creare questo movimento di gente legata dalla musica, dal jazz, portando sul palco tutti i nomi più importanti della scena mondiale, dai grandi artisti americani a quelli nordeuropei e naturalmente tutti gli italiani. Non è facile coprire tutto l’anno, senza tregua, con nomi che attirino il pubblico. Ogni tanto ci ripetiamo - tra poco ad esempio torneranno Tuck & Patti - perché non sappiamo più dove andare a trovare i musicisti».
Gli aspetti meno positivi?
«Non riusciamo ad attirare l’attenzione né del pubblico né del privato. In giro per Milano c’è tanta musica pagata con i soldi pubblici, è una specie di concorrenza sleale per noi.

Ci vorrebbe più flessibilità, ci vorrebbe un po’ di attenzione anche per noi che, con grande fatica, cerchiamo di tenere alta la bandiera del jazz come cultura».
La formula del doppio concerto come va?
«Soffriamo un po’ nel secondo show. i milanesi lavorano e vanno a letto troppo presto. Dobbiamo invogliarli ad uscire più spesso».

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