Bocciato alla Camera il «tetto» agli stipendi di manager e banchieri

Dietrofront, come previsto, sul tetto allo stipendio dei manager delle società quotate e delle banche. La commissione Finanze della Camera ha approvato l’emendamento al disegno di legge comunitaria presentato dal relatore, Gerardo Soglia, che cancella dal testo i due commi che prevedevano che il «trattamento economico onnicomprensivo» dei manager degli istituti di credito e delle società quotate non potesse superare il trattamento annuo lordo spettante ai parlamentari (248mila euro) e che vietavano di includere, tra gli emolumenti e le indennità, le stock option.
Una norma controversa, criticata fin dall’indomani della sua approvazione «bipartisan» al Senato - il 28 gennaio - dal presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, che l’aveva definita «una fesseria totale che va eliminata al più presto». O «un’iniziativa abbastanza peregrina», come l’ha definita ieri l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, accogliendone con soddisfazione la scomparsa.
In pratica, il tetto alle retribuzioni dei manager avrebbe obbligato a rifare le buste paga di buona parte dei vertici di Piazza Affari, per non parlare dei «super amministratori», almeno una cinquantina, che nel 2008 hanno guadagnato più di 2,5 milioni. Il timore era che una misura del genere, se confermata, avrebbe spinto gran parte delle maggiori società italiane a trasferire la propria sede all’estero, dato che nessun altro Paese dell’Ocse prevede tetti di questo tipo, con l’eccezione degli Stati Uniti, dove però il limite di 500mila dollari, deciso l’anno scorso, riguarda solo i manager delle società che hanno fatto ricorso agli aiuti pubblici per salvarsi. Non senza imbarazzi, quindi, il governo ha cercato un rimedio all’«incidente», promettendo l’immediata modifica a poche ore dal voto. E così è avvenuto: il nuovo testo potrebbe essere accolto dalla commissione Politiche dell’Unione europea e comunque dovrà passare il vaglio dell’aula al momento dell’esame del provvedimento.
Il Pd, dal canto suo, non demorde e ha già annunciato che presenterà un emendamento al disegno di legge comunitaria 2009 per introdurre un tetto allo stipendio dei manager «di società pubbliche, di quelle che abbiano usufruito di sostegni pubblici e di aziende private in amministrazione straordinaria». Lo sostiene Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del Partito democratico.
Ma quanto guadagnano, in media, i manager? In realtà, tolti i super vertici, la cifra non è molto lontana dal famoso «tetto»: secondo Assonime, che ha pubblicato ieri la IX Analisi dello stato di attuazione del Codice di autodisciplina delle società quotate in Italia, la remunerazione media degli amministratori delle società quotate in Borsa è pari a 235mila euro. A fare la differenza è piuttosto la dimensione dell’impresa: 408mila euro è lo stipendio dei manager presso le società dell’S&P, pari a circa 5 volte la remunerazione media delle quotate sull’Expandi, che è di 85mila euro. Una remunerazione più alta è riconosciuta anche ai manager delle società finanziarie (300mila euro contro 220mila nelle non finanziarie). La componente principale è rappresentata dagli emolumenti per la carica (circa 50% del totale), mentre gli «altri compensi» pesano per circa un terzo del totale: più basso il peso dei bonus (14%); i benefici non monetari hanno un peso marginale (2%). La maggioranza dei consiglieri percepisce una remunerazione inferiore a 75mila euro.
A diversi ruoli, si legge nel rapporto, corrisponde diversa retribuzione: sul gradino più alto gli amministratori delegati (in media, 727mila euro).

Seguono i presidenti con 579mila euro.
E sempre più frequente è anche il ricorso a piani di incentivazione a base azionaria: 123 società, pari al 44% del listino, hanno adottato almeno un piano, per lo più di stock option (80% del totale).

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