Bocelli: "L'arte come messaggio di pace e fratellanza"

Intervista al tenore in occasione dell'XI edizione del "Teatro del Silenzio", l'evento artistico da lui ideato e che richiama ogni anno l'attenzione internazionale sul paesino che gli diede i natali.

Bocelli: "L'arte come messaggio di pace e fratellanza"

Lajatico (Pisa) - L'undicesima edizione del grande spettacolo ideato da Andrea Bocelli nelle campagne pisane che lo videro bambino, sta per andare in scena. Un cast artistico di fama mondiale lo affiancherà questa sera nell'esecuzione di un repertorio lirico composto da alcune tra le più famose arie d'opera in quello che è un anfiteatro naturale di eccezionale bellezza. Il grande tenore ha trovato comunque il tempo di regalarci un po' di sé.
- Come mai ha scelto il circo come tema dell'undicesima edizione del Teatro del Silenzio?
Perché quello del circo è un universo che ha diverse connessioni con il melodramma. Tipologie di spettacolo ambedue dal sostrato profondamente popolare, l’opera propone anche una dimensione nobilmente circense, così come il circo può raggiungere vette di puro lirismo. Entrambi i generi esprimono quel virtuosismo che è sfida, stupore, produzione d’inaudito finalizzata ad emozionarci e ad avvincerci.
- Nel Teatro del Silenzio la natura non è solo uno sfondo ma parte essenziale dello spettacolo. La sensazione viva è che in questi campi Lei non semini soltanto note con il calore e la maestà della Sua voce. Che cosa ha intenzione di far nascere negli spettatori?
Desidero condividere con loro quell’alchimia che ho sperimentato innanzitutto su me stesso, da sempre, passeggiando o cavalcando tra queste colline, percependone i profumi inebrianti ed i suoni del fieno scosso dal vento. Anche il disegno misterioso di queste colline è “musica”, e contribuisce alla magia di un incontro festoso, che ci trova tutti – interpreti e spettatori – desiderosi di emozioni e di bellezza. Nato come una sfida, oggi il Teatro del silenzio è una tradizione radicata che chiama annualmente molte migliaia di persone provenienti da tutto il mondo.
- Questo spettacolo si nutre di molti ingredienti: musica classica e musica pop, canto e danza, arte e natura, terra e cielo. Il Suo talento di quali sinergie si alimenta?
Il Teatro del silenzio ha proprio la peculiarità di offrire sul medesimo palcoscenico una tavolozza variegata di espressioni artistiche. Una volontà sinestetica che si esprime anche nel palco stesso, che è tramutato in oggetto artistico che interagisce con il paesaggio. Quanto al mio talento, se così lo si può chiamare, si alimenta innanzitutto dell’amore. Amore per la vita, che ritengo essere il più grande dei doni, da onorare vivendo con intensità, coraggio, ottimismo... Amore, nel privato e nella professione, sempre e in tutte le sue forme. Ritengo che, privilegio impagabile dell’uomo, sia proprio quello di interpretare poeticamente la propria avventura sulla terra: uno slancio che permette di definire l’amore, di accedere a dimensioni più alte ed apparentemente nascoste, ed anche ad intuizioni d’ordine religioso.
- Nella scelta degli artisti con cui collaborare, quanto pesa il progetto professionale e quanto la componente umana? Voglio dire, ai vostri livelli c'è ancora spazio per scegliere in base ad affinità elettive con chi lavorare?
È innegabile che interagiscano fattori molteplici e complessi. Però, almeno per quanto mi riguarda, la scelta di un partner col quale collaborare è sempre anche una questione di cuore, di sentimento. Soprattutto nei duetti, se scatta l’alchimia di un equilibrio fra le intenzioni e i colori di due voci (e delle due personalità che dietro alle voci stanno), in quel caso si crea qualcosa che rimarrà, negli anni a venire. Così, noi cantanti siamo costantemente a caccia di colleghi – magari molto distanti per impostazione vocale – in grado però di dar vita a questa alchimia, esaltando e potenziando reciprocamente le qualità espressive.
- Lei gira il globo da anni, la Sua voce è patrimonio dell'umanità. In questo vivere da cittadino del mondo, oltre alla musica deve avere anche tanto rumore intorno. Il silenzio, che ha celebrato intitolandogli questo luogo, che valore ha per Lei?
Sempre più, oggigiorno, il silenzio è un lusso. Ma rappresenta un valore inestimabile, è prezioso e necessario. Nel silenzio penso che si celino dei tesori, proprio come nella musica, laddove l’energia maggiore sovente sta proprio nelle pause. Se si parla con qualcuno, metà del nostro cervello è impegnata a elaborare la risposta all’interlocutore. Tacendo, all'opposto, si ascolta davvero il prossimo... Stare zitti fa bene. Anche per questo amo la Valdera, un territorio lontano dal clamore, dove il silenzio e il raccoglimento sono ancora possibili.
- Io credo, mi dica se sbaglio, che Lei, da tempo, non si accontenti più di diffondere amore per la bella musica e che punti a fecondare cuori attraverso quella, portandoli a conoscere la bellezza morale del fare del bene. Alludo alla Sua fondazione. Ce ne vuole parlare?
Credo nella bellezza della bontà e nella bontà intrinseca della vera bellezza. La solidarietà non è solo un dovere morale ma un atto di intelligenza: ciascuno credo debba fare la sua parte, conscio del fatto che il bene rappresenta l’unica strada realmente percorribile, per migliorare il mondo che lasceremo ai nostri figli. La fondazione che porta il mio nome compie in queste settimane i suoi primi cinque anni di vita. Siamo attivi presso le comunità più povere e isolate di Haiti (dove forniamo, tra l’altro, istruzione, cibo, e supporto sanitario ad oltre 2500 bambini) ma anche in Italia (dove collaboriamo con l’Elemosineria Papale) e presso il MIT di Boston, dove stiamo contribuendo allo sviluppo di un device per accrescere l’indipendenza delle persone non vedenti. In tutti i progetti cerchiamo di esprimere, nella concretezza delle azioni, il significato della mission della fondazione, che può riassumersi nello slogan “prendersi cura delle persone”: un approccio etico ed esistenziale in cui credo fermamente e che ciascuno di noi può mettere in pratica quotidianamente.
- Nello spostare un po' più in là l'orizzonte del fare e nella ricerca di nuovi stimoli penso che la Sua compagna sia una presenza fondamentale. Posso chiederLe da cosa ha capito che sarebbe stata la compagna di viaggio, da cosa l'ha riconosciuta tra le altre?
La sera stessa che ci siamo conosciuti, Veronica ed io, abbiamo iniziato una convivenza al ritmo di ventiquattr’ore al giorno, che dura da quattordici anni. All’inizio ci siamo riconosciuti grazie ad una attrazione “chimica”, subito dopo da una forte intesa sui valori guida. Quando due persone, dopo così tanto tempo, hanno ancora voglia di stare insieme a trecentosessanta gradi, significa che un’anima completa l’altra... Il filosofo Platone ipotizzava come l’anima si divida in due metà, maschio e femmina, per incarnarsi nel mondo... Ogni anima divisa, affronta la vita terrena alla ricerca della propria metà mancante. Così è stato con Veronica: un incontro d’anime.
- Bellezza, natura, poesia e musica sono gli ingredienti in scena il 30 Luglio. E' questa, secondo Lei, la ricetta rigenerante che può fare da antidoto alla paura e all'incomunicabilità che ci circondano?
Sì, ne sono convinto. Penso che la bellezza, intesa come ciò che non pertiene al male, come ciò che non è offuscato dall’orgoglio, possa essere una risposta importante alle derive che insanguinano il mondo. L’arte può portare con sé un messaggio di pace e fratellanza, può aiutarci a crescere ed a svilupparci spiritualmente.
- Dal momento che Lei intrattiene rapporti amichevoli con i grandi della Terra così come con il più umile dei compaesani di un tempo, cosa ha capito del rapporto tra felicità e successo?
Il successo è la somma di variabili ed equilibri imperscrutabili. La notorietà, di per sé, non è un valore, e men che meno dà, automaticamente, la felicità. Viceversa, porta con sé molti rischi, perché ci si può montare la testa, col rischio di rovinare la propria vita e quella dei propri cari: una sciagura che grazie a Dio sono riuscito a tenere a debita distanza, cercando di vivere sempre coi piedi per terra. Inutile negare alcuni privilegi materiali, sostanziali, di chi gode del successo. Ma credo fermamente vi siano mille maniere per essere persone di valore, realizzate e felici, senza essere necessariamente famose.
- Tra le persone che non appartengono alla Sua cerchia familiare, chi sono quelle che più ammira o ha ammirato nella vita e da cui ha più imparato?
Si chiamava Amos Martellacci. Un uomo che aveva la licenza elementare ma al quale devo molto del poco che so.

Un mio conterraneo che padroneggiava sei lingue e che, raggiunta la pensione, per molti anni mi seguì, con estrema attenzione ed affetto, negli studi universitari, fino al principio della mia carriera artistica. In suo onore, ho dato il nome Amos al mio figlio primogenito.

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