Bohème, l’alter ego infantile trovata forzata e «grottesca»

Una Bohème uscita dai giocattoli di Parpignol: una soffitta che somiglia ad un gonfiabile, pupazzi di neve e finestrelle da calendario dell’avvento, vestiti sgargianti che nemmeno in Alice nel paese delle meraviglie: e Alcindoro che par quasi il Cappellaio Matto. Tutto in un gigantesco carillon che ruota con le musiche di Puccini. Insomma, iconografia lontanissima da quel che siamo abituati a vedere con Bohème, una delle opere più amate e visitate del repertorio, e che il Carlo Felice ha messo in scena sabato, con le scene coloratissime del genovese Francesco Musante. Applausi a scena aperta da tutta la platea - eccezion fatta per i tradizionalisti - che ha apprezzato pure le scelte registiche di Augusto Fornari, assolutamente anticonformistiche, fatte di mimi, ballerini, carretti, cavalli volanti, in una dimensione onirica senza dubbio d'effetto.
Unica nostra perplessità, l’alter ego infantile accanto ai protagonisti, una sorta di fanciullino pascoliano sempre presente e interpretato da un bambino vestito identico al proprio «se stesso adulto». Idea perno attorno a cui ruota tutta la costruzione registica dell’opera e che forza anche il finale, con l’attenzione del pubblico che si sposta dal capezzale - dove l’intensa drammaticità della musica dovrebbe tenerla ancorata - al carro dei «fanciullini» che, finalmente visti dai grandi, se ne vanno e salutano: lettura poco comprensibile nell’immediato e troppo calcata, che si poteva tranquillamente limitare ai quattro bohémien, visto che alla lunga il «doppio» diventa grottesco, se non addirittura inutile elemento di disturbo.


Ma veniamo all’aspetto musicale, che non è stato certo ottimale, sia come equilibrio sonoro tra buca e palcoscenico (direzione Marco Guidarini), che come scelta di alcuni tempi, troppo lenti; sia infine come interpretazione da parte dei cantanti, che pur con una buona resa del personaggio, non hanno dimostrato particolari doti vocali, anzi a tratti sono parsi poco puliti e non intonati. Fa eccezione, in parte, Mimì (Donata D’Annunzio Lombardi) che nonostante le imprecisioni e l’emissione non sempre morbida e rotonda, ha avuto dei momenti di cantabilità intensa.

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