La Bolivia è sull’orlo del caos: Morales chiede aiuto all’esercito

Sciopero generale in 4 province proclamato dall’opposizione

Roberto Fabbri

Si avvicina un confronto di piazza forse decisivo e certamente drammatico in Bolivia, uno dei Paesi sudamericani che compongono il fronte filocastrista guidato dall’aspirante Líder Maximo venezuelano Hugo Chavez. Il presidente Evo Morales, dopo giorni di contrasti anche fisicamente violenti con l’opposizione che lo accusa di puntare all’instaurazione di un regime dittatoriale, dovrà fronteggiare uno sciopero generale proclamato in quattro regioni (le più ricche ed economicamente strategiche del Paese) dove l’opposizione, e in particolare il partito «Podemos», è al potere.
Il ministro degli Interni, Alicia Muñoz, ha tipicamente definito lo sciopero contro il governo «un complotto» e il presidente si è rivolto «al popolo perché difenda la democrazia e alle forze armate perché assumano il loro ruolo costituzionale di difesa dell’integrità del territorio nazionale».
La sfida a Morales è venuta dai comitati civici vicini all’opposizione nella provincia di Santa Cruz, motore economico del Paese più povero del Sud America, e ad essa si sono uniti quelli delle province di Tarija (ricca di gas naturale, principale risorsa della Bolivia), di Beni e di Pando. Da quando Morales, nello scorso gennaio, è stato proclamato presidente con un programma di nazionalizzazioni, redistribuzioni delle terre e sostegno ai cocaleros, in queste province che compongono la regione di pianura del Paese la domanda di autonomia è andata crescendo accanto ai timori di veder imporre in Bolivia un regime di stampo castrista.
Timori non infondati, se si considera che il trio Castro-Chavez-Morales non perde occasione per sostenersi reciprocamente a livello internazionale, ma soprattutto che - a livello interno - certe mosse del primo presidente indio della Bolivia fanno effettivamente temere una deriva autoritaria. Infatti il Movimento al Socialismo (Mas, il partito di Morales) sta lavorando per una modifica del regolamento dell’Assemblea Costituente boliviana che prevede l’approvazione delle decisioni a maggioranza semplice e non più con i due terzi dei voti come accade attualmente. Di fatto, questo significherebbe attribuire al Mas un potere assoluto, perché dispone guarda caso di 137 costituenti su 255. A questa prospettiva Podemos e gli altri partiti minori si oppongono risolutamente: venerdì scorso diversi costituenti si sono ritirati dall’Assemblea per protesta e domenica Morales è stato accusato di «autogolpe» per i suoi tentativi di imbavagliare l’opposizione con trucchi procedurali e non solo (il governatore di Santa Cruz, Ruben Costas, ha denunciato «aggressioni prepotenti e impunite» contro membri scomodi della Costituente). Domenica la tensione ha raggiunto il culmine quando Roman Loayza, capogruppo del Mas, è caduto malamente in piena notte durante una tempestosa riunione dell’Assemblea, battendo la testa e finendo in coma all’ospedale.
Ancora non sono state chiarite le modalità dell’incidente, da attribuirsi a una caduta da due metri di altezza. Morales, naturalmente, parla di cospirazione e di volontà di dividere il Paese.

E anche se nessuno ha visto spingere Loayza, sposa la tesi della violenza politica: «L’opposizione - ha detto - sta cercando di bloccare i lavori dell’Assemblea e ora utilizza anche l’aggressione fisica per raggiungere il suo obiettivo». Ma ormai la parola rischia di passare alla piazza e all’esercito.

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