«Ora stacco e vado in cielo». Per vincere una medaglia ci vuol poco. Detto e fatto. Un pensiero interiore, una parola, una speranza. Nostra Signora del salto in alto è andata due metri sopra il cielo con la semplicità dei grandi e la testardaggine dei campioni. Si conosce. «Sono una capa tosta». E con il cielo ha rapporti privilegiati. Il credo è grande quanto la voglia di esplorare le vette del salto: la specialità sua, ma pure il tormento di una vita atletica. Antonietta Di Martino ieri ha lanciato il suo bacio allItalia. Lo ha detto davanti alle telecamere, ma prima ancora davanti al mondo dellatletica. Serviva una medaglia, serviva un salto in alto per questa nazionale che da quattro anni ha scoperto che (per lei) limportante è partecipare perché le medaglie vanno agli altri. Ci voleva lAntonietta dei miracoli, come lo fu quella di Osaka 2007 con tanto di medaglia dargento. Rieccola, di nuovo. Lei piccoletta fra le gigantone. Faceva sorridere vedere le due stanghe che dotano il fisico della russa Chicherova e della croata Vlasic davanti alle gambette veloci e dinamitarde della nostra.
Nostra Signora ha scavalcato i due metri che aveva fissato come misura da medaglia. È stata subito battaglia a tre (con due intruse di passaggio: la russa Slesarenko e Shikolina). Le altre sono andate un po più in alto (2,03). Antonietta ci ha provato e, per un nulla, non ci ha preso al secondo salto: ha tenuto tutti a fiato sospeso, così come aveva fatto nel terzo balzo ai due metri, quello decisivo. Dentro o fuori? Dentro, un salto che pareva un ricamo. Eppoi il sorriso e il sospiro che valeva tutta una storia da raccontare. «Dopo Pechino avrei voluto mollare latletica. E invece mi sono ritrovata qui, in pedana a dirmelo: guarda, sto saltando per il bronzo. Ringrazio Dio di avermi dato mio marito, che mi ha spronato a continuare». Lui fa lavvocato e il tecnico a tempo perso: la tiene tranquilla, effetto camomilla. Lei crede e prega, eppoi ringrazia. Lo farà anche stavolta. Lo aveva promesso al suo manager: «Se vinco una medaglia, andremo a Pompei a piedi».
A Pompei, cè la Vergine del Rosario alla quale la gente di Campania è molto legata. Da Cava dei Tirreni sono 21 km. Antonietta ha già provato la via altre volte. Questanno ha chiesto la grazia non sentendosi sicura solo di se stessa. «Quando ho vinto largento, ad Osaka, avevo due mesi di salti alle spalle, qui mi sono fatta male in maggio. Avevo poche gare alle spalle, all1,97 mi sono venuti i crampi». Gli infortuni sono una costante. Lanno scorso ha dovuto lottare pure contro la mononucleosi. «Ma ho la testa dura, è un marchio di fabbrica: dice mio fratello». Buon marchio. «In più è morto mio nonno, è stata unestate particolare». Antonietta ieri è salita sicura e bella nei tre balzi iniziali (1,89; 1,93; 1,97). Infastidita dai giudici che le hanno fatto rinviare due volte i salti. «Poi mi hanno chiesto scusa, mi sono innervosita». Non è una scusa, solo una notazione. A lei era aggrappata la tribuna azzurra. Tutta la nazionale a tifare per quella medaglia e per quellangelo con le ali. Ai due metri sono esplosi. «Li ho visti, mi è piaciuto. Del resto ero un po tesa per questa storia della medaglia. Però mi sono detta: hai passato di peggio. Se va male, è la vita».
Cè in questo senso del destino un carattere, e una caratteristica, diversa da Sara Simeoni, laltra nostra Signora che ha fatto la storia italiana dellatletica. Un po alla volta, Di Martino le sta dicendo: fatti un po più in là. Le medaglie di Sara sono ancora troppo grandi (campionessa olimpica, regina europea e recordman mondiale), ma Antonietta lotta con la sua statura e con le gigantesse. A livello di misure, siamo già più su. Ieri la Vlasic ha saltato per la centesima volta oltre i due metri. La Chicherova è salita con una leggerezza da record del mondo.
Ancora una volta vince una mamma (dopo la Demus nei 400 ostacoli): la russa lo è da settembre 2010. Evidentemente mamma è bello: anche in pista e in pedana. Antonietta ancora non ci pensa.
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