Boltanski e il suo percorso «sensoriale»

Sabrina Vedovotto

Più di tutto appena si entra è il calore l’elemento che cattura, che addirittura sfiata. La luce che proviene dall’esterno impedisce inoltre al principio di vedere cosa Christian Boltanski ha creato per il Macro al Mattatoio. Poi, entrando lentamente e lasciandosi alle spalle la luce accecante ci si divincola in un percorso sensoriale, che cattura l’orecchio, l’occhio e anche l’olfatto. Una grande installazione, dal titolo «Exit», riempie tutti i circa mille metri quadrati del Macro al Mattatoio, finalmente riaperto dopo mesi, per coinvolgere e avvolgere lo spettatore. Pensato appositamente per questo spazio, il lavoro dell’artista francese si impadronisce del luogo, facendolo proprio. Attacca al soffitto oltre trecento vestiti, vestiti che sono diventati patrimonio del suo lavoro e che utilizza sin dal 1972. Ogni volta diversi però, perché memorie del tempo presente. Vestiti appesi tra stanze costruite attraverso tende plastificate, che con il vento che le muove divengono schermi di un video, dal titolo «6 Septembres», nel quale 64 fotogrammi montati ad una velocità incredibile narrano momenti, azioni, spiragli di vita vissuta.
Nell’entrare nel Mattatoio si sentono anche delle voci, che sembrano sussurrare parole, quesiti, domande, più spesso retoriche che in attesa di una reale risposta. È come se fossero gli abiti a bisbigliare qualcosa, forse per sentirsi ancora attaccati alla vita che invece li ha lasciati lì ormai. Perché senza corpi gli abiti non hanno vita, non hanno senso, motivazione di essere. In un percorso che porta alla fine del grande stanzone, sempre camminando con difficoltà attraverso queste barriere di plastica, si incontrano poi delle teche di plastica, al cui interno di nuovo vestiti. Questa volta sapientemente ripiegati, con appoggiati sopra dei neon. Il tutto chiuso in queste che sembrano bare, al cui interno però si può vedere, perché realizzate in materiale trasparente. In sottofondo, un cuore pulsante al cui battito corrisponde una lampadina che si accende e si spegne.
Boltanski si è detto contento di lavorare in un posto come il Mattatoio, certo un luogo dove l’idea della morte è molto presente. Anche pressante, tanto che non si fa fatica a ritrovarla anche nei suoi lavori. L’artista non sfugge a questo concetto e fa propri gli stimoli del luogo nel quale opera.

La vita e la morte sono le protagoniste indiscusse, e procedono di pari passo, senza che l’una superi di intensità l’altra, perché non c’è in lui intento di prevaricazione di una ai danni dell’altra, ma solamente una ovvia considerazione che la vita altro non è che l’attesa dell’ineluttabile.
Macro al Mattatoio, piazza Giustiniani 4, fino al 30 settembre. Da martedì a domenica dalle 16 alle 24. lunedì chiuso. Ingresso libero.

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