L'Assemblea permanente - altrimenti detta autogestione - sembra essere il futuro più prossimo del Carlo Felice. Questo il grido di guerra delle organizzazioni sindacali del teatro, che ieri mattina hanno votato la proposta - a sigle unificate - con 11 astenuti, 5 contrari e 204 favorevoli. Tradotto in parole povere, concerti «fai da te» aperti al pubblico, manifestazioni gratuite per la città, esibizioni anche fuori dal teatro «perché la città ha diritto comunque alla cultura». Sì, ma chi paga i lavoratori? «Non è affar nostro - tuona Nicola Lo Gerfo, Fials - il buco finanziario è frutto di passate malgestioni, che hanno portato il teatro in questa drammatica situazione. Spetta dunque al Cda e in primis al presidente, la sindaco Marta Vincenzi, trovare la liquidità necessaria». Ammesso che sia possibile. Quel che è certo è che si prosegue su due binari destinati a non incontrarsi mai, i lavoratori più che decisi a non accettare gli ammortizzatori sociali - cassa integrazione e contratti di solidarietà - i vertici ad imporli invece come unica soluzione per scongiurare il fallimento.
Lotta infinita tra mentalità differenti, quella aziendale e quella artistico-culturale, che qualcuno non si rassegna proprio a far dialogare. «Non siamo un'azienda e non andremo in cassa integrazione - aggiunge Roberto Conti, Snater - non produciamo merce di scambio e non vogliamo creare un pericoloso precedente per le altre Fondazioni lirico-sinfoniche. Piuttosto potremmo eseguire un concerto al Porto Antico durate la manifestazione al Porto Antico della Fiom che protesta contro un convegno di Confindustria».
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