Bonifiche d’oro, tutti gli uomini di Grossi

PIOLTELLO Il legale, in accordo col curatore, cercò di condizionare il tribunale fallimentare

Bonifiche d’oro, tutti gli uomini di Grossi

Enrico Lagattolla

È una fitta trama da districare. È una rete di interessi che avvolge imprenditori, politici, avvocati. È il regno di Giuseppe Grossi così come emerge dalle indagini della Guardia di finanza: un grande comitato d’affari in cui il business è alimentato da una prassi spregiudicata di conoscenze, favori, scorciatoie. Per capire l’estensione di questo metodo, bisogna mettere i tasselli al loro posto. Iniziando dalla perquisizione di ieri delle fiamme gialle, che si sono presentate nello studio legale di Giovanni Camozzi.
Camozzi curò per conto di Luigi Zunino, ex numero uno di Risanamento e dunque proprietario dell’area Santa Giulia, i rapporti ecomonici tra l’immobiliare Cascina Rubia srl (del gruppo Risanamento) e la Plurifinance di Grossi per una consulenza sull’area ex Falck di Sesto San Giovanni. Ma non solo. Perché il nome di Camozzi compare anche negli atti depositati dalla Procura, in relazione al fallimento della Sisas di Pioltello, sui cui terreni lavorerà la Sadi non solo per la bonifica, ma ottenendo anche una concessione edilizia. E in questa vicenda compare anche il nome dell’avvocato Vittorio Ottolenghi, curatore fallimentare della Sisas per conto del tribunale di Milano.
Il sospetto degli inquirenti, ora, è che Grossi - tramite Camozzi - abbia cercato di pilotare il fallimento Sisas (su cui pendeva il ricorso di un’altra società) grazie anche a Ottolenghi. Il 15 e 16 gennaio scorsi, a pochi giorni dalla decisione del Tribunale, i finanzieri registrano un triangolo di conversazioni tra Camozzi, Paolo Titta (uno dei collaboratori di Grossi finito in carcere) e Ottolenghi, in cui vengono monitorate le mosse di Regione, Comune, Provincia e ministero dell’Ambiente, cercando di prendere tempo e di fare pressione sul giudice. «Diciamo una cosa banalissima - dice il curatore al telefono - mi basta che qualcuno mi mandi una nota dicendo che stiamo elaborando la risposta, e ci scusiamo per il ritardo». E «siccome il giudice lo vedo molto spesso - insiste Ottolenghi - vado da lui e gli dico che sto aspettando». E in questo contesto entrano anche due uomini di fiducia di Grossi. Uno al Pirellone, «il dottor Leo». L’altro a Roma, Gianfranco Mascazzini, direttore generale al ministero dell’Ambiente. Sono loro, si legge negli atti, ad anticipare agli uomini di Grossi le mosse su Pioltello. O addirittura, a tentare di concordarle. In un’altra telefonata intercettata, ad esempio, Titta parla col «dottor Leo», il quale risponde che «possiamo trovare una buona formulazione di compromesso».
Grossi, però, non si limita ad avere qualche insider nei palazzi. I suoi interessi spaziano, così come le sue frequentazioni. Ci sono due battute di caccia a metà novembre dello scorso anno a cui partecipa Andrea Monorchio, Ragioniere generale dello Stato fino al 2002. Ci sono i numerosi contatti telefonici con Giancarlo Foschi, sindaco di Casei Gerola (Pavia), in cui si discute di una trattativa per la bonifica. Cinque mesi fa (il 15 maggio) i due si sentono al telefono per definire gli accordi. Ancora, «da alcune telefonate - scrivono gli investigatori - emerge che Grossi, grazie alle sue conoscenze politiche, fa anche da tramite per favorire i rapporti tra diversi enti pubblici e, nel caso specifico, tra il ministero e la Provincia di Bergamo». Il 12 gennaio scorso, Grossi chiama Valerio Bettoni, presidente della Provincia. «Quest’ultimo - si legge nelle carte - dice che l’ha chiamato per quei documenti che gli aveva dato e gli chiede se si riuscisse a parlare col nuovo direttore generale (Mario Resca) che sarebbe una cosa importante. Grossi risponde che lo vedrà la sera stessa o il giorno dopo. Bettoni dice che il capo del gabinetto del ministro dovrebbe conoscere questa pratica e Grossi lo rassicura dicendo che lo vedrà».
Questo, secondo gli inquirenti, è il «metodo Grossi». Un sistema finito sotto inchiesta e che ora rischia di investire la politica. Perché Grossi, in carcere per riciclaggio, appropriazione indebita e frode fiscale, è anche indagato per corruzione. La lista dei suoi «regali» è nelle mani dei finanzieri.

Da quella lista potrebbero uscire i nomi di quanti hanno alimentato il metodo dell’imprenditore. Perché «sugli appalti - convengono Grossi e Camozzi in una telefonata del 18 dicembre 2008 - ci sono cose da rabbrividire».

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