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Cos'è il Chips Act e perché fa bene anche all’Italia

Il 25 luglio il Consiglio europeo ha approvato il Chips Act e ora ci si attende una crescita della produzione europea di chip con ricadute positive miliardarie sull’economia e sull’impiego. E l’Italia è pronta ad approfittarne, così come ha sottolineato il ministro Urso

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L’Europa ha accolto il Chips Act, il regolamento che prevede investimenti fino a 43 miliardi di euro per fare crescere il mercato mondiale dei chip europei dall’attuale 10% circa al 20% entro il 2030.

I semiconduttori, ossia i chip, sono sempre più strategici per la produzione mondiale e quindi per l’economia. L’Europa è storicamente indietro in tutto ciò che rimanda alla tecnologia. Non ci sono soltanto i chip, mancano anche Big tech nate e cresciute nel Vecchio continente.

Il Chips Act vuole rilanciare il ruolo dell’Europa creando indotto e occupazione altamente specializzata. I fondi dedicati agli investimenti saranno alimentati anche dagli Stati europei.

Cosa è il Chips Act

Il Chips Act è un regolamento nato con l’obiettivo di promuovere l’innovazione tecnologica di nuova generazione mediante la progettazione, la prototipazione, i test e la produzione di chip all’avanguardia.

Può sembrare demagogia scientifica ma si tratta di obiettivi pieni di senso. Il mondo vira sempre più verso le Intelligenze artificiali, le reti di comunicazione di nuova generazione (di cui il 5G fa parte), l’Internet of Things e l’evoluzione dei prodotti tecnologici in genere, aprendo delle vere e proprie corse su diversi fronti: quello prettamente tecnologico, quello della sicurezza e quello energetico.

Tutto ciò che acquistiamo o i servizi di cui usufruiamo sono alimentati da chip e, anche quelle categorie merceologiche di prodotti che non ne contengono (si pensi agli alimentari) fanno parte di una filiera che vive di semiconduttori. Restare esclusi dal mercato mondiale ha ripercussioni su tutta l’economia e quindi sull’impiego.

Per partecipare al mercato coprendo un ruolo di rilievo sono necessarie filiere manifatturiere in Europa, che possono essere create soltanto con investimenti e formando personale altamente qualificato. Non raggiungere una propria indipendenza e non competere sul mercato significa rimanere in un limbo che porta, nel migliore dei casi, a una crescita economica subordinata alla capacità produttiva e alle condizioni economiche di altri Paesi. Inoltre, rimanere ai margini significa avere potenziali problemi di sicurezza nazionale e non avere il pieno controllo sulle caratteristiche energetiche dei semiconduttori.

Il parere dell’Italia

Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy ha accolto l’approvazione del Chips Act con favore, sottolineando che il piano italiano per approfittarne è in corso d’opera e, come obiettivo finale, si pone quello di dare lustro alla filiera nazionale anche attraendo imprese estere. La crisi dei chip ha lasciato tracce anche in Italia e l'esecutivo si dice pronto a evitare che il Paese non vesta i panni del protagonista.

Le parole del ministro Urso raccontano l'impegno dell'Italia: "Come governo italiano, sin dal nostro insediamento, abbiamo sostenuto la necessità di una maggior autonomia strategica a livello europeo supportando gli investimenti sulle nuove frontiere tecnologiche, come i semiconduttori, le batterie elettriche, la cyber sicurezza e l’intelligenza artificiale. Stiamo lavorando al Piano italiano sui chips che, sul solco del regolamento europeo, ci permetterà di rafforzare la filiera domestica e attrarre imprese estere, contribuendo così a definire la sovranità tecnologica”.

Sul piatto ci sono fino a 43 miliardi di euro.

Ai fondi già esistenti l’Ue ha aggiunto una disponibilità di 3,3 miliardi di euro e, anche se le cifre non sono ancora note, una parte dei fondi sarà fornita da ogni singolo Stato.

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