Borsa e mercati

Terremoto bancario, ecco i cinque fronti della crisi (e chi rischia)

Derivati, immobiliare, sistema ombra in combo con le criptovalute, stop ai prodotti interbancari, fondi russi in fuga: ecco cosa mette le banche occidentali sotto stress

Terremoto bancario, ecco i cinque fronti della crisi (e chi rischia)

Nelle ultime settimane il vento della crisi bancaria è tornato a soffiare sul mondo. Lo schianto di Svb negli Stati Uniti, la crisi di First Republic Bank e il collasso sfiorato di Credit Suisse, con il caos aperto dal discusso salvataggio degli azionisti a scapito degli obbligazionisti hanno messo il mondo sul chi vive. Le mosse dei regolatori su tassi, politiche economiche e scelte strategiche hanno portato ad accentuare la volatilità già emersa apertamente sul mercato.

L'economista Massimo Amato, dialogando con IlGiornale.it, ha sottolineato le similutidini tra questa fase, fatta di mercati iperliquidi sottoposti a strette sui tassi e decollo dell'inflazione, e il 1929, caratterizzato dal crash bancario e dalla Grande Depressione. Altri studiosi hanno sottolineato la presenza di prodotti problematici nei portafogli delle banche e dei fondi come assai simile a quella che si registrava nel 2007-2008. C'è maretta sui mercati. E almeno cinque scenari preoccupano alla luce delle crisi di sistema apertesi tra Usa e Svizzera.

I derivati tornano a pesare sulle banche

In primo luogo, simile al 2007-2008 è la presenza nei bilanci delle banche di centinaia di miliardi di derivati potenzialmente tossici che possono diventare innesco di una crisi strutturale. Stime di questo tipo sono assai complesse e gli anni del Covid hanno spostato altrove, comprensibilmente, l'attenzione dei regolatori. Ma al 2018 le stime più accreditate davano, ad esempio, in ben 6.800 miliardi di euro il valore dei titoli potenzialmente tossici nei bilanci dei soli istituti francesi e tedeschi, e c'è da essere certi che questo c'entri anche col caos degli ultimi giorni del "malato d'Europa", Deutsche Bank.

L'autorità bancaria europea ha lanciato l'allarme su miliardi di derivati legati alla sperequazione dei mercati energetici che avrebbero potuto diventare spazzatura e negli Usa c'è una percepita minaccia per i quasi 2 trilioni di dollari di derivati legati al mercato immobiliare che in caso di sgonfiamento della bolla degli ultimi anni potrebbero esplodere in pancia agli istituti più importanti.

Immobiliare, la nuova bolla?

Il problema di BlackStone che deve ancora ripagare 297 milioni di euro su un singolo progetto in Finlandia e la scelta di molti fondi, da Schroeders a BlackRock, di limitare come il concorrente i prelievi dai loro fondi garantiti dall'immobiliare,non ha mosso molti attori verso la prudenza circa una possibile crisi dell'immobiliare nei mercati più avanzati.

L'avanzata dei tassi, la fine del mattone come investimento capace di "ripagarsi" acquisendo valore nel tempo, la ricerca di rendimenti da parte degli investitori, l'inflazione che scoraggia hanno colpito il settore. Le banche sono state colpite due volte. Da un lato come detentrici di fondi legati all'immobiliare. Dall'altro per l'esposizione dei debitori e dei titolari di mutuo che può a cascata colpire gli istituti. Il 1929 e il 2007 assieme, in potenza. Repubblica cita i dati di Msci Real Assets secondo cui "i proprietari di immobili commerciali devono affrontare debiti in scadenza per circa 400 miliardi di dollari. Oltre a ciò, circa 500 miliardi di dollari andranno a maturità nel corso del 2024. Circa il 27% dei finanziamenti è arrivato da banche regionali o locali" esposte a perdite e deprezzamenti.

Su scala mondiale diverse città vedono mercati immobiliari al limite: lo studio Ubs Global Real Estate Bubble Index, a fine 2022, ha indicato tra queste particolarmente a rischio Vancouver, Los Angeles, Toronto, Zurigo, Francoforte, Monaco, Tel Aviv, Tokyo e Hong Kong.

Obbligazioni At1, la nuova spada di Damocle

Sempre Repubblica ricorda essere oltre 275 miliardi di euro, nel solo mercato comunitario, il valore delle obbligazioni At1 che circolano e che dopo il caos Credit Suisse, che ha visto la Finma e la Banca nazionale svizzera azzerarne nella banca di Zurigo per ben 16 miliardi di euro, possono rappresentare una potenziale bolla.

Le At1, o obbligazioni "CoCo", sono nate dopo il 2007-2008 per vincolare in forma di interdipendenza le banche. Esse rappresentano titoli che rendono i detentori creditori dell'istituto che li emette, e sono potenzialmente convertibili in capitale in caso di crisi. Hanno garantito una fluidità al mercato interbancario negli scorsi anni. Ora la loro ridottissima stabilità può aprire a un rischio strutturale di collasso del credito interbancario, da evitare in una fase del genere, così delicata.

I fondi scomparsi della Russia

Il caso Credit Suisse è rilevatore di un'altra problematica: si ipotizza che ben 200 miliardi di euro di asset riconducibili direttamente o meno alla Russia e ai suoi oligarchi, sia coperti che nascosti in varie scatole cinesi, fossero presenti nei forzieri della banca di Zurigo e di altri istituti elvetici. Capire quanti di questi fondi siano volati via sottobanco o senza lo scrutinio di Credit Suisse dall'inizio dell'invasione militare dell'Ucraina nel febbraio 2022 a oggi è fondamentale per comprendere se nel dissesto finanziario e nelle prossime crisi il decoupling da Mosca avrà un ruolo.

Del resto Credit Suisse era sotto attacco da tempo dalla stampa finanziaria anglosassone e dal Dipartimento del Tesoro e della Giustizia Usa per presunti legami con gli oligarchi di Mosca. E di nuovo oggi Washington è tornata all'attacco dopo la maxi-fusione Ubs-Credit Suisse che ha chiuso le porte in faccia alla "sua" BlackRock. In quest'ottica bisogna capire in che misura la fuga di asset russi può aver ridotto la patrimonializzazione di molti gruppi bancari che hanno giocato pericolosamente con Mosca negli anni scorsi e se la prospettiva del proseguimento delle sanzioni e della presenza di zone grigie può danneggiare le banche comunitarie.

Finanza ombra e criptovalute, il Far West inesplorato

Last but not least, come in ogni fase di acuta volatilità anche quella presente è caratterizzata da un'attenzione sistemica per il sistema finanziario ombra, regno del trading a alta frequenza, delle transazioni non regolamentate, delle scommesse a tutto campo. A fine 2020 lo shadow banking system fatto di titoli scambiati, soprattutto in forma di derivati e di scommesse, giocando fuori dalle boe di sicurezza della navigazione finanziaria in acque tranquille aveva sfondato su scala globale i 225 trilioni di dollari superando i 180 trilioni di attività gestite dalle banche vigilate.

Il Financial Stability Board e il G20 a fine 2022 avevano lanciato un allarme sulla tenuta di questo sistema. Un mese fa tale allarme era stato rilanciato da Standard&Poor's e da inizio anno a preoccupare erano in particolare le grandi speculazioni finanziarie emerse nel delicato mercato cinese.

Crisi nate da derivati tossici o speculazioni su commodities e altri asset fuori dai mercati vigilati possono travolgere la finanza istituzionale. E negli ultimi tempi a questi scenari si è aggiunta anche la prospettiva di un default a catena di operatori delle criptovalute. I casi dell'americano Sam Bankman-Fried e del coreano Do Kon, che con le criptovalute e le frodi hanno fatto bruciare a diversi risparmiatori decine di miliardi di dollari in asset volatili, è indicativo. Le criptovalute possono essere la ciliegina sulla torta di un sistema instabile. In cui tutto congiura per mettere banche e finanza sotto torchio.

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